I soldi ci sono, stanziati all'inizio dell'estate di un anno fa con un provvedimento in funzione anti Covid che intendeva ridare fiato all'edilizia tramite un superbonus fiscale del valore del 110 per cento della spesa sostenuta per il miglioramento qualitativo, energetico e sismico degli alloggi. Che in Italia sono 12 milioni e hanno davvero bisogno di interventi mirati perché in media sono vecchi: più del 74 per cento è stato costruito oltre 40 anni fa, con criteri oggi superati soprattutto dal punto di vista della sicurezza sismica.

C'è pure la necessità di utilizzare i benefici del superbonus non solo per le abitazioni private, ma soprattutto per le case popolari: 806 mila alloggi ex Iacp (Istituto autonomo delle case popolari), gestititi da 74 enti e aziende territoriali (Acer, Ater, etc...) che in genere fanno capo alle regioni e non brillano per efficienza.

Due milioni di abitanti

In quegli appartamenti ci vivono 2 milioni e 200 mila italiani, costretti in condizioni non sempre ideali perché le case popolari risentono forse più delle altre dell'età. A differenza delle abitazioni private le case ex Iacp neanche possono migliorare con gli interventi e le manutenzioni necessarie perché gli enti che dovrebbero farlo non hanno soldi.

E' un patrimonio enorme e diffuso su tutto il territorio nazionale che sta diventando una piaga sociale e urbanistica. Con il superbonus si potrebbe invertire la rotta. Tutti i soggetti della filiera dell'edilizia sono favorevoli e interessati, a cominciare dai costruttori. Ma il superbonus per le case popolari non parte. Conferma Gabriele Buia, il presidente dell'Ance, l'associazione dei costruttori italiani: «Anche se a strattoni e con molti mal di pancia, per le abitazioni private il superbonus è avviato. Per le case popolari no.

La legge dà ai soggetti pubblici interessati 6 mesi in più di tempo rispetto agli altri per avviare l'operazione, ma c'è il rischio che anche questa dilazione non sia sufficiente e che il paese perda una grande occasione».

Il punto è proprio questo: nonostante che per la riqualificazione delle case popolari con il superbonus ci sia tempo fino alla fine del 2023, siccome non è stato avviato neanche mezzo intervento, se la qualità del giorno si vede dal mattino, la possibilità di un gigantesco flop è davvero assai elevata.
Sarebbe uno spreco, per tutti. In primo luogo per lo stato che dopo aver impegnato le risorse necessarie si lascia sfuggire l'occasione storica di riportare all'onor del mondo il suo patrimonio abitativo aprendo un mega cantiere nazionale, magari abbattendo per ricostruire ex novo con una sorta di «industrializzazione» dell'edilizia. Poi sarebbe un peccato per chi vive nelle case popolari, di nuovo confinato nei fatti in una dimensione di serie B. E infine sarebbe uno sperpero per l'economia del paese.

Operazione da oltre 100 miliardi

Riqualificare le centinaia di migliaia di alloggi ex Iacp significa lavoro per migliaia di imprese, centinaia di migliaia di lavoratori, i professionisti dell'edilizia e l'indotto, a cominciare da chi produce le finestre per arrivare a chi fornisce gli impianti. Secondo un calcolo di massima, considerato che il superbonus è applicabile per ogni unità abitativa fino a un massimo di 139 mila euro, il totale movimentato con le case popolari sarebbe intorno ai 112 miliardi di euro. Mezzo Recovery senza Recovery, per intenderci.

Mai come in questo caso le responsabilità di una burocrazia insipiente sono evidenti. La gigantesca operazione non parte perché la mano pubblica che dovrebbe dare il là, trovandosi di fronte a una situazione inedita, non sa che pesci prendere. Non sa come organizzare le gare, insomma, e in più c'è la complicazione che non è del tutto chiaro chi dovrebbe dare il giro di manovella.

Per la parte energetica è interessata l'Enea, l'aspetto sismico riguarda il Genio Civile mentre la gestione delle case popolari fa capo agli enti territoriali. Dal Cnr (Consiglio nazionale ricerche) fino a Casa Italia di palazzo Chigi in molti stanno ingegnandosi per trovare una soluzione. Ma può essere battuta la burocrazia in Italia?

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