Sostituire il presidente del Consiglio Giuseppe Conte «è strada impercorribile: è un punto di equilibrio in una maggioranza tenuta con gli spilli, la sua sostituzione non permetterebbe di tenere insieme la maggioranza». Il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, stoppa l’ipotesi, che anche nel suo partito comincia a camminare, di un altro premier. Un altro premier è impossibile, spiega da Parma dove tiene un’assemblea del partito. E lo dice con parole chiare. Un po’ perché è il messaggio che potrebbe convincere proprio Conte a rassegnare le dimissioni e formare un nuovo governo, unica strada per allargare anche formalmente la sua maggioranza, come gli chiede Bruno Tabacci. Ma soprattutto perché disarcionare Conte è stato, dall’inizio della crisi, il vero obiettivo di Matteo Renzi.

Riaprire al rottamatore

Obiettivo che finisce oggi per essere, più o meno consapevolmente, di fatto rilanciato dalle richieste di riaprire le porte al leader di Italia viva. Lo «scouting» in quel partito per ora non produce risultati certi. La prossima relazione sulla giustizia – mercoledì o al massimo giovedì arriverà al voto del Senato – non è il momento migliore perché nuovi responsabili facciano un passo avanti. Quelli già acquisiti, come Sandra Lonardo e Riccardo Nencini, sono in sofferenza. Insomma c’è il rischio che alla “prova del fuoco” stavolta Conte si bruci, e con lui bruci la legislatura. Quattro senatori dem sono usciti allo scoperto e si sono dichiarati preoccupati dagli «ammiccamenti» al voto anticipato dei vertici Pd. Batte un colpo anche l’ex ministra Marianna Madia: «A me pare che l’unica maggioranza politica possibile sia ancora solo quella entrata in crisi per una scelta palesemente sbagliata di Iv. Non è il momento di far prevalere gli ultimatum», spiega. Se nuovi voti non spuntano fuori, «si riparta da dove ci siamo fermati». Ma per il segretario del Pd Nicola Zingaretti – come per palazzo Chigi e come per lo stato maggiore dei Cinque stelle – il caso Renzi è chiuso.

Il no «dovere morale»

Il Pd dunque blinda il premier e decide di non andare neanche a vedere se è proprio vero che i Cinque stelle non accetterebbero nessun altro. Il senatore fiorentino ha aperto una crisi «folle» in piena pandemia ed è diventato un alleato «inaffidabile». Ma per i dem c’è anche un conto aperto da regolare, dalla scissione dell’autunno 2019. I velleitari propositi macroniani di Renzi: «Se il disegno di Iv è l’omicidio politico del Pd, si può fare un pezzo di strada insieme con chi cerca di ucciderti?», si chiede retoricamente Orlando. Un pezzo di strada lunga un anno in realtà il Pd l’ha fatto, ora vorrebbe riuscire nella doppietta di far sopravvivere il governo e svuotare Iv, ormai all’opposizione.

Insomma non c’è altra strada che un nuovo governo Conte. Non un governo istituzionale, spiega stavolta Goffredo Bettini, «se c’è un punto che ci rende forti è la grande discriminante populista». Resta solo «cercare nelle prossime ore di costruire un gruppo politico dentro il parlamento che non sia quel recipiente vuoto di idee per mettere insieme transfughi, ma che sia una cosa che politicamente esiste e che è fortissima. Ci sono alcune forze prigioniere nell’altro campo che non c’entrano nulla» con Salvini e Meloni. Ma che certo non amano il giustizialista Bonafede: per l’ala liberal degli azzurri è «un dovere morale» votargli contro. Il countdown è partito. Mercoledì, o al massimo giovedì al senato (deciderà martedì la riunione dei capigruppo) arriverà la relazione sulla giustizia del ministro. Rimandare l’appuntamento si potrebbe, ma a rischio di far scatenare la protesta delle destre. Orlando chiede agli amministratori locali di lavorare «sugli eletti nei territori perché cambino l’orientamento al Senato». Consapevole che quello sulla giustizia sarà un passaggio molto difficile «non si discuterà davvero della relazione di Bonafede, ma della politica sulla giustizia che è stata fatta nei mesi scorsi», un terreno su cui «non solo è difficile allargare la maggioranza, ma è difficile tenere insieme la maggioranza acquisita. Quindi riteniamo che ci voglia una iniziativa politica del governo e del ministro Bonafede per dare il segnale di un fatto nuovo senza il quale si rischia di andare a sbattere». Tradotto: il ministro ha già fatto filtrare alcuni passaggi della sua relazione per rassicurare sul fatto che ha cambiato tono rispetto ai tempi dell’abolizione (di fatto) della prescrizione. Ma ora, secondo Orlando, deve dare segnali di dialogo sulla riforma del processo penale e civile. Uno sforzo immane di autoemendarsi, per il ministro, forse impossibile. Il Pd ci prova lo stesso: «Tempi rapidi per i processi civili e tempi ragionevoli – sei anni – per i tre gradi dei processi penali. Se si definissero tempi certi per questi traguardi, se si stabilissero rapporti collaborativi con le opposizioni, se insomma tutti smettessero di usare la giustizia come una clava, ne perderebbe lo scontro partitico, ma ne guadagnerebbe il Paese» ragiona Walter Verini, responsabile giustizia Pd. Se i voti non ci saranno, le elezioni «non sono un obiettivo ma la conseguenza del venir meno delle soluzioni che non mi pare abbondino», giura Orlando. Sono «l’ultima risorsa. Sono una sciagura sì, ma non un colpo di stato», sostiene Bettini.

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