«Siamo scioccati dal livello di sfruttamento sul lavoro in Italia. Parliamo di un paese avanzato e industrializzato, in cui la perdita di vite umane sul lavoro non è accettabile. Lo stesso vale per i conflitti ambientali, le imprese sembrano essere sorde rispetto alle richieste dei territori e non riescono a mantenere un contatto con quello che accade nella realtà».

Queste le conclusioni del professor Surya Deva, membro del working group su diritti umani e lavoro delle Nazioni Unite, espresse durante la conferenza stampa del 6 ottobre presso l’Istituto Sturzo. Le dichiarazioni arrivano al termine di un viaggio per l’Italia durato dieci giorni, con lo scopo di redigere un documento di indicazioni per imprese ed enti pubblici.

La missione

Il gruppo Onu esiste dal 2011 e nasce per aggiornare il testo dei “Principi guida su business e diritti umani”, redatto nello stesso anno. Dopo aver viaggiato in Africa, Corea, Stati Uniti, quest’anno è stata la volta dell’Europa, e l’Italia è stata selezionata come primo paese da “osservare”.

Cinque relatori Onu hanno toccato diversi luoghi, sede di conflitti ambientali: da Taranto a Foggia, passando per la Val d’Agri, Brindisi, Prato e Roma. In ognuno di questi territori sono stati ascoltati i sindacati, le organizzazioni della società civile, le istituzioni e le imprese. Il quadro finale che ne emerge è estremamente preoccupante.

Sul tema dei conflitti ambientali, nella relazione finale che sarà disponibile a giugno del 2022, si scenderà nel dettaglio sui danni procurati dall’industria. Il testo analizzerà il mancato rispetto dei diritti umani da parte delle aziende, fornendo ulteriori indicazioni al governo e agli enti pubblici su “cosa fare”. Già nell’anticipazione emerge però un giudizio negativo, per questo le Nazioni Unite inoltrano al governo una richiesta fondamentale: la creazione di un organismo che vigili a livello nazionale sulle violazioni dei diritti umani, a cui si legano il rispetto dei diritti dei lavoratori, del diritto alla salute e del diritto a un ambiente salubre. Non solo, secondo l’Onu servirebbero anche strumenti più stringenti a livello legale per costringere le imprese al rispetto di questi diritti.

Le denunce

Nel testo anticipato i siti vengono già indicati uno a uno. Riguardo Avellino le Nazioni Unite denunciano che dagli anni ‘80, dopo la chiusura della fabbrica in cui i lavoratori erano assunti per rimuovere a mani nude l’amianto dai treni, la zona non è stata ancora bonificata e gli abitanti continuano ad ammalarsi. 

Si tocca poi la questione dell’ex Ilva di Taranto. Per l'inquinamento dell’aria prodotto dallo stabilimento si raccomanda che «le autorità governative, Acciaierie d'Italia e la comunità trovino un equilibrio per elaborare un piano urgente che punti alla piena decarbonizzazione, in linea con gli obiettivi climatici dell'Italia». 

Infine per la Val d’Agri in Basilicata, dove si trova il più grande giacimento petrolifero a terra dell’Europa occidentale, si raccomandano “ulteriori sforzi” per rispettare i diritti umani. 

La Val d’Agri

Quando si arriva in Val d’Agri l’impatto visivo delle attività fossili è immediato: il centro Oli di Eni, da solo, occupa una porzione di 18 ettari. A fianco, poi, sorge l’Energy Valley, che nelle intenzioni dell’azienda sarà un polo tecnologico e agro-ambientale. In totale 70 ettari, proprio nel cuore dell’area compresa tra i monti Sirino e Volturino. 

A pochi metri da questo scenario, il 2 ottobre i delegati Onu sono stati accolti presso la sede della Protezione Civile di Viggiano. Qui hanno ascoltato le associazioni del territorio, i sindaci del comprensorio e i dirigenti del cane a sei zampe, attraverso incontri separati con ognuno per evitare influenze. 

Le associazioni che ha incontrato l’Onu, hanno dato molta importanza a questa visita: «La scelta della missione Onu di visitare queste zone –  spiega Lucie Greyl, presidente del Centro Documentazione Conflitti Ambientali di A Sud - conferma che anche in Italia il godimento di diritti fondamentali è gravemente minacciato dalle attività d'impresa. Sul piano del diritto internazionale esistono meccanismi che vincolano gli Stati ma che non obbligano in alcun modo le imprese». Per questo, prosegue, «servono strumenti a livello nazionale che costringano le aziende al rispetto di obblighi in ambito climatico, i soli accordi internazionali non sono sufficienti».

In particolare, come ha fatto notare anche il membro del gruppo di lavoro Onu durante la conferenza stampa, proprio in Val d’Agri l’assenza di una normativa stringente e vincolante ha avuto un impatto ambientale, sanitario e sociale sul territorio devastante. 

A oggi, in Basilicata si estrae l’80 per cento del petrolio prodotto in Itala grazie al giacimento di Eni e a quello di Total noto come Tempa Rossa. Un dato che, secondo le previsioni di Nomisma Energia, è destinato ad aumentare: nel 2021 l’estrazione di idrocarburi potrebbe arrivare a 6,3 milioni di tonnellate di greggio con un apporto della Basilicata di 5,4 milioni. 

«Quanto potranno durare ancora le estrazioni? Dieci, quindici anni anni al massimo? E poi? Se anche decidessimo di lavorare al Centro Oli, a 30 anni ci ritroveremmo disoccupati», ha denunciato Teresa, studentessa del liceo di Viggiano e attivista di Fridays for Future, intervenendo nell’interlocuzione dedicata alla società civile.

L’attività industriale ha portato sviluppo e ricchezza nel territorio? Ha ascoltato le istanze, mantenuto le promesse di riscatto e risolto i problemi precedenti al suo insediamento?: queste le domande poste dall’Onu alle associazioni. Ma le risposte, purtroppo, sono state tutte negative. 

Il documento finale

Le associazioni, al termine dell’incontro, hanno consegnato all’Onu un documento finale, dove vengono portate avanti richieste precise da avanzare al governo nazionale e a Eni.

«Pare che dopo anni di estrazioni in Val d’Agri non ci sia altra prospettiva che lavorare per l’Eni - si legge - e così si sono cancellate tutte le vocazioni economiche locali tradizionali per convertire tutto quanto in un’unica monocultura estrattiva».

Dalla capitale italiana del petrolio, rivendicano una «transizione  energetica e lavorativa», insieme al «potenziamento della rete sanitaria e dell’assistenza territoriale di base” e a un “sistema di monitoraggio ambientale e sanitario trasparente”».

Una voglia di partecipazione ribadita dall’invocazione di una «commissione di vigilanza permanente sul territorio, che assicuri la buona gestione dell’attività estrattiva sul territorio e vigili sull’operato degli enti locali». 

In Val d’Agri, insomma, di fiducia, verso le istituzioni e verso le aziende fossili, ne è rimasta poca e a metterlo in luce è la stessa delegazione Onu.

Surya Deva nella conferenza stampa finale di ieri, al termine delle visite ha ribadito, infatti, che «in Val d’Agri come negli altri territori le aziende sembrano ignare delle preoccupazioni della comunità locale. Ci hanno raccontato le loro attività e come monitorano le emissioni ma la verità è che i vertici aziendali devono uscire dagli uffici e mettersi in ascolto perché le comunità ormai non gli credono più. Il ruolo di mediazione del governo e degli enti pubblici qui è cruciale».

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