«Ci stiamo giocando l’osso del collo. Questi soldi non li avremo mai più, o li spendiamo bene o ci impicchiamo. Non è un gioco, non è una fiction o una telenovela. Ci giochiamo tutto». Matteo Renzi convoca una conferenza stampa al Senato alle sei di sera, in tempo giusto per i tg e negli stessi minuti in cui le forze politiche della maggioranza inviano con assai meno clamore le proprie proposte sul piano italiano del Next generation Ue, su cui si sta giocando il futuro del paese e la «verifica» della tenuta del governo. Il nome del documento di Italia viva è già tutto un programma. «Ciao», si intitola, è un acronimo per «cultura, infrastrutture, ambiente, opportunità». «Stiamo chiedendo di parlare di contenuti. Non è una questione contro il presidente del Consiglio», giura Renzi. Ma che «Ciao» suoni come un saluto finale al premier è una provocazione cercata. Mercoledì le delegazioni delle forze di maggioranza si confronteranno con il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Italia viva contesta 61 punti sugli oltre centotrenta del piano di Conte. Ma fra i punti che il leader di Iv declama in conferenza stampa ci sono, anche qui non a caso, quelli che non andranno giù ai Cinque stelle. Innanzitutto il Mes sanitario: Iv vuole che l’Italia lo chieda: «Nel giorno in cui è venuto fuori il dato Istat di 273 medici morti per il Covid, i 36 miliardi del Mes servono. È vergognoso che vada avanti questa discussione ideologica», su questo «non torniamo indietro. A chi dice che i denari del Mes sono condizionati diciamo che quelli del Recovery hanno condizioni più stringenti».

E fra le altre condizioni che Renzi annuncia ci sono i suoi cavalli di battaglia, lo ius culturae, l’alta velocità, se fosse possibile – e per fortuna non lo è – ci sarebbe anche il Ponte sullo stretto di Messina. Per lui il piano di Conte è impregnato di «cinquestellismo giustizialista», il suo progetto – dice – invece parte dalla cultura e dai sindaci. Ammette che Conte ha già fatto «marcia indietro» sul metodo di decisione, ma non basta, ora chiede «un salto di qualità perché questo piano così com’è è davvero deludente». A palazzo Chigi dà qualche settimana per «risolvere la questione», «Se c’è l’accordo si va avanti bene, se non c’è le ministre si dimetteranno».

L’appuntamento aggiunge poco a quello che fin qui ha detto già pubblicamente e bisbigliato informalmente: «Ora o mai più, non avremo più questa possibilità di spesa per i prossimi trent’anni, siamo a un bivio: c’è solo una cosa peggiore della pandemia, è spendere male questi soldi». Una differenza siderale di tono, assai prima che sui contenuti, con il documento del Pd, che si intitola più sobriamente «Il Recovery deve cambiare l’Italia» ed è ugualmente pieno di correzioni al piano di Conte. E così quello di Liberi e uguali, «Osservazioni e proposte per il piano nazionale di ripresa e resilienza».

Ma ormai Renzi non può abbassare il tiro e tirarsi indietro dalla parte che si è autoassegnato. Assicura che i suoi parlamentari lo seguiranno, non crede al voto né alle minacce di essere buttato fuori dall’alleanza di centrosinistra: «Credo che dovremmo metterci attorno a un tavolo e decidere come concludere la legislatura. Siamo stati bravi a mandare a casa Salvini, e ora?». Ora sta a Gualtieri mettere d’accordo tutti sui «saldi» del piano, ma la prossima mossa politica sta a Conte. E l’occasione sarà domani, la conferenza stampa di fine anno del premier. Certo è che chi ha parlato oggi con il premier lo ha trovato sicuro di restare al suo posto. Nel pomeriggio ha incontrato una delegazione di Equologica, la nuova rete della sinistra nata da qualche settimana, e che coincide solo in piccola parte con Leu. Conte ha ascoltato con esibita attenzione, ha condiviso l’idea della centralità di una conversione ecologica e ha chiesto di ricevere le proposte entro le prossime settimane: come chi è sicuro di restare al proprio posto.

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