L’assoluzione di Silvio Berlusconi era stata annunciata da Giorgia Meloni lunedì 13. Con il legalese di una nota che informava della decisione del governo di revocare la costituzione di parte civile nel processo penale Ruby ter. «La formazione, avvenuta nell’ottobre 2022, di un nuovo governo, espressione diretta della volontà popolare, determina una rivalutazione della scelta in origine operata – recitava il comunicato di palazzo Chigi –. Ciò appare tanto più opportuno alla stregua delle assoluzioni che dapprima la corte di Appello di Milano con sentenza del luglio 2014, divenuta irrevocabile, poi il tribunale di Roma con sentenza del novembre 2022 hanno reso nei confronti del sen. Berlusconi in segmenti della stessa vicenda».

Insomma non c’è due senza tre. O, per dirla meglio, non è politicamente intelligente rinunciare, a poche ore dalla sentenza, alla possibilità di avere qualche milione di euro di risarcimento danni. Certo, poche ore prima il leader di Forza Italia, probabilmente irritato dal disinteresse mostrato nei suoi confronti, aveva sproloquiato sui rapporti tra l’Italia e Volodymyr Zelensky. Quella della premier è stata sicuramente una concessione figlia di un ricatto politico, ma forse è stata supportata anche dalla convinzione che l’esito del processo sarebbe stato favorevole all’ex Cavaliere. Che infatti ieri è stato assolto. Mentre Meloni era tra i primi, insieme a Matteo Salvini, a festeggiare la sentenza. E ora?

Perché gli alleati riottosi sono sicuramente un’ottima giustificazione per spiegare il passo lento di una maggioranza che viene narrata come granitica. Ma ora? Le elezioni regionali non hanno prodotto effetti collaterali. Lega e Forza Italia non sono stati cannibalizzati da FdI. Anzi, nel caso del partito del ministro delle Infrastrutture, si sono persino evidenziati dei timidi segnali di vitalità. L’assoluzione di ieri libera Berlusconi del senso di accerchiamento che normalmente lo rende nervoso e ingestibile. Certo, questo non vuol dire che gli alleati si metteranno buoni in un angolo lasciando a Meloni libertà di manovra. Ma è indubbio che oggi la premier è più stabile. E sembra anche in grado di recuperare una certa credibilità dopo gli schiaffi ricevuti sul piano internazionale. 

Il problema, in fondo, è tutto qui. Un sondaggio di Tecnè realizzato per Mediaset ieri dava FdI al 30,6 per cento. Un dato già toccato, sintomo di una fiducia che al momento non accenna a calare. Ma se così è, ora tutto è nelle mani di Meloni. A lei spetta il compito di governare e realizzare quelle riforme promesse in campagna elettorale. Non ci sono più alibi. 

Forse anche così vanno lette le dichiarazioni di Enrico Letta e Stefano Bonaccini che lodano l’avversaria descrivendola come «migliore di quanto ci aspettassimo», «una persona capace». Alla fine l’unica speranza per Salvini, Berlusconi, ma in fondo anche per il Pd, non potendo batterla nelle urne, resta quella di un incidente percorso. Un inciampo che metta Meloni in difficoltà. Che poi questo si traduca in una nuova stagione di gloria per chi ha già dimostrato di non saper governare il paese è tutto da dimostrare.

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