«C’è una novità: Salvini ha dato ragione al Pd, non ci siamo scostati noi. Tutti possono riconoscere che l’idea di risolvere i problemi distruggendo l’Europa era fallimentare. Si apre una fase nuova, non c’è dubbio: vedremo le coerenze». Nicola Zingaretti accetta in mattinata, all’ultimo momento, di andare in tv, su RaiTre. L’intenzione per ‘tranquillizzare’ il popolo democratico. La sceneggiata «europeista» del leader della Lega, che si è offerto al nuovo governo come un vecchio unitario, citando il governo Parri e il governo De Gasperi, facendo cadere di schianto qualsiasi paletto, per poco non fa cappottare di nuovo il Pd, dopo la caduta di Giuseppe Conte e l’arrivo del mandato a Draghi. Un arrivo che ha colto la segreteria di sorpresa, ma forse non le aree ex Dc che hanno un filo diretto con il Colle.

Meglio tutti tecnici

Un governo «politico» con la Lega è quanto di più indigesto per la base dem. O per lo meno per quella che ha eletto segretario Nicola Zingaretti durante le primarie. Dall’ala sinistra del partito c’è chi ha fatto persino balenare l’idea di un appoggio esterno. Ma è una scelta impraticabile: sarebbe in concreto rispondere no all’appello drammatico di Sergio Mattarella. Altro invece se il presidente incaricato scegliesse per la sua squadra solo profili di «tecnici», cioè esperti, magari di aree culturali diverse, ma non parlamentari o politici direttamente. E’ l’esatto contrario di quello che ha chiesto Giuseppe Conte a nome dei Cinque stelle, anche se dopo la consultazione delle delegazione ormai non è più una condizione per il movimento. Viceversa un governo di questo tipo sarebbe molto più facile da sostenere per il Pd, anche se nel «perimetro» della maggioranza fosse compresa la Lega.

Chi ha parlato negli scorsi giorni con Draghi però si è fatto un’altra idea. Difficile che rinunci ad alcuni profili direttamente politici e direttamente presi dai partiti. «Anche i politici saranno comunque scelti perché uomini giusti nel posto giusto», ha detto il presidente della Bce a una delegazione che provava invano di decifrare le sue intenzioni.

Il Pd gli dirà comunque sì. Le correnti centriste – Areadem (Franceschini) e Base Riformista (Guerini e Lotti) – spingono il segretario a allinearsi senza se e senza ma con quella che sarà la proposta di Draghi, «whatever it takes». Il segretario a sua volta nega divisioni, persino sfumature: «Nel Pd c’è unità assoluta su un punto che condivido anche io: con Draghi con le nostre idee, con i nostri valori». E i «nostri valori» sono contenuti nel documento programmatico che il Pd ha inviato a Draghi: le proposte già inviate – invano – a Giuseppe Conte per una verifica che non si è mai fatta. Dodici pagine fitte, in pratica il programma del Pd, sufficiente generico in molti punti per non essere alternativo agli alleati del governo giallorosso, ma in certi punti evidentemente alternativo a quello della Lega: come al capitolo immigrazione, dove c’è tutta una spiegazione dell’iniquità dei decreti Salvini, e si chiede «un nuovo testo unico che superi la Bossi-Fini, ormai datata e dagli effetti dannosi», e «l’approvazione in via definitiva del disegno di legge sullo ius culturae».

L’ultima prova

E’ forse l’ultimo banco di prova per un segretario che si sente assediato anche se, sondaggi alla mano, può dimostrare di aver tenuto unito il partito. Da giorni comincia a rimbalzare la richiesta di un congresso. Lo ha fatto il capogruppo Andrea Marcucci, parlando di anni «che hanno reso inevitabile una discussione nel Pd», ma la richiesta arriva da Base riformista, dai giovani turchi di Matteo Orfini.

«Il congresso ci sarà tra due anni, ma appena finita questa vicenda porrò il quesito di come andare avanti», promette il segretario chiedendo unità con enfasi, «il Pd ora deve rilanciare per il futuro la propria prospettiva politica. Ora discuteremo insieme come farlo, spero solo che nessuno vorrà rimettere indietro le lancette dell’orologio».

Quando il nuovo governo partirà, le lancette segneranno l’ora della verifica interna del Pd. Intanto oggi secondo giro di consultazioni per Draghi. Dal pomeriggio tornano i ‘piccoli’, mentre domani dalle 11 il core business delle forze politiche ( e dei voti), compresa Fratelli d’Italia che pure ha annunciato il suo no. Mercoledì l’incaricato potrebbe già salire al Colle per sciogliere la sua riserva; e il governo giurare venerdì.

Fino ad allora il Pd farà il massimo di pressione possibile per far capire a Draghi che un governo-ammucchiata rischia di non essere stabile. Anche perché «Salvini è per un governo a tempo», sottolineano dal Nazareno. Ma è un’altra condizione saltata per Salvini. Anche su questo, dopo le prime affermazioni, ormai è molto cauto: «Se c’è un progetto di Paese che ci convince, ovviamente della durata dei mesi che sarà, ci siamo». Sulla durata del governo Draghi c’è chi fa altre ipotesi: fino all’elezione di Mattarella, per poi candidarsi a sostituirlo, grazie proprio all’appoggio della Lega, che ne ricaverebbe lo ‘sdoganamento’ europeo, in vista di una probabile vittoria alle politiche. Ma questa sarebbe un’altra storia. Intanto il leader leghista si mette a disposizione senza condizioni, esibendo calma serafica di fronte all’agitazione dei dem: «Non abbiamo assolutamente neanche cominciato a pensare, né come Lega né con il professore Draghi, a nomi, squadre. Noi abbiamo detto l'esatto contrario, ci vedremo martedì pomeriggio e porteremo le nostre proposte sull'uso dei fondi Ue. L'ultima delle mie preoccupazioni e' il toto ministri o il toto poltrone, sottosegretari. Aspettiamo le proposte del professor Draghi».

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