E’ ancora stallo sui lavori delle camere in tempi di emergenza Covid. Ieri il presidente della camera Roberto Fico ha riunito la giunta per il regolamento, ora la palla passa alla capigruppo. Ma la convocazione non sarà prima di mercoledì prossimo. Lì Fico si presenterà con un ampio ventaglio di proposte, per mantenere l’equilibrio sul sottile filo tra le assenze per quarantena o malattia, oggi considerate “missioni”, e gli sgambetti delle opposizioni, pronte ad approfittare dell’occasione per far mancare il numero legale, com’è successo qualche settimana fa dopo le dichiarazioni del ministro Roberto Speranza. Questa settimana i lavori sono rimasti di fatto bloccati. Era in programma l’inizio della discussione della legge Zan sull’omofobia, ma su richiesta delle opposizioni è stato approvato un calendario che non prevedeva voti: un espediente tecnico per tenere lontana da Montecitorio la gran parte dei parlamentari e non aggravare il numero dei contagiati e “quarantenati”.

Diverse le proposte discusse nella riunione, tra le quali la possibilità far votare da casa almeno agli ‘isolati’. Sulla questione pesano profili di costituzionalità che consigliano soluzioni emergenziali e solo provvisorie. Fico è da sempre contrario, ma stavolta non può evitare di istruire il dossier. Ingranando però la marcia lenta. «Su questa, come su altre soluzioni per riorganizzare spazi e lavori continueremo a confrontarci», scrive su Facebook. Ma serve un’intesa fra i gruppi. Dopo il no irremovibile ormai anche alcuni deputati M5S hanno aderito alla proposta di parlamento a distanza del deputato Pd Stefano Ceccanti, su cui ormai si contano 115 firme. Ora Ceccanti esulta: «Il presidente Fico ha preso atto di dover preparare per tempo varie possibili alternative per un diritto parlamentare efficace nell’emergenza». C’è anche il sì del grillino Giuseppe Brescia, presidente della Commissione Affari Costituzionali: il voto a distanza è «grande opportunità».

Piuttosto una necessità, visto che durante la sessione di bilancio il parlamento non si potrà bloccare. Ma le opposizioni ancora resistono, con qualche cedimento da parte di Forza Italia e con l’aiutino di Italia viva. Le destre non vogliono rinunciare alla possibilità di mettere in difficoltà la maggioranza. I renziani non possono rinunciare al brivido di sentirsi indispensabili alla maggioranza. «Ridurre la funzione di un deputato o senatore al solo voto a distanza è svilente del ruolo del parlamentare e delle camere», avverte Marco Di Maio, esponente Iv che siede in giunta. La scelta che per ora mette tutti d’accordo (e che è la strategia adottata anche al Senato) è di far procedere – si fa per dire – i lavori a settimane alterne: una l’aula, l’altra le Commissioni, che useranno l’aula in modo da poter assicurare sempre il distanziamento fisico. Ma è una decisione, anzi una non decisione, che rischia di dilatare il calendario dei lavori: una scelta rischiosa, alla vigilia del percorso della legge di Bilancio, che quest’anno parte proprio dalla Camera.Siamo già a fine ottobre: con questo andamento lento, Commissioni e discussioni saranno ridotte al minimo mentre il governo martellerà il parlamento con voti di fiducia per portare a casa il testo prima di Capodanno. Impresa difficile da sempre, che nel 2020 rischia di diventare impossibile.

La linea europea di Sassoli

Le Camere italiane non riescono dunque a imboccare la strada intrapresa invece, già in piena pandemia, dal parlamento europeo guidato dal presidente David Sassoli. Il blocco, o anche solo rallentamento, rischiava di mandare in tilt l’approvazione dei provvedimenti per l’emergenza Covid, dal bilancio europeo agli strumenti approvati dalla Commissione. Sassoli da subito ha incaricato il segretariato di individuare le soluzioni tecniche che garantissero la legalità del processo democratico e la libera espressione del voto. Da marzo è stato sperimentato il voto a distanza, con un meccanismo misto fra remoto e presenza. Così mercoledì scorso Sassoli ha potuto presentare il bilancio del lavoro di un’assemblea più che efficiente, nonostante tutto. Un dibattito in plenaria, tre sessioni di voto e 11 operazioni di voto a marzo; una plenaria, 6 sessioni e 128 voti ad aprile; 5 plenarie, 7 sessioni e 358 voti a giugno e via in crescendo ogni mese fino alle quasi 40 plenarie di ottobre, 13 sessioni di voto e più di 2mila voti. Sin da marzo ciascun parlamentare può votare dal suo computer in modalità sicura sull’European broadcast system. Nella sua casella di posta elettronica arriva la lista di voto: deve essere stampata, firmata dopo la scelta, poi scannerizzata e reinviata per mail al seggio. Nell’ultima settimana è stata introdotta anche la possibilità di intervenire a distanza. L’aula resta ovviamente aperta, ma il suo affollamento è disincentivato dalla possibilità di parlare dagli uffici di rappresentanza del parlamento europeo in ciascuno stato (gli Eplos, European parlament local office sono 35, alcuni dei 27 stati membri dell’Unione ne hanno due, più i tre uffici fuori dall’Unione). Fra lunedì e martedì scorso dunque si sono svolti 207 interventi, di cui 47 da remoto in una ventina di uffici nazionali. «Una plenaria storica», spiega Sassoli, «Abbiamo detto a marzo che non volevamo fermare il Parlamento», «Abbiamo fatto tante votazioni sulle questioni dell’emergenza Covid e non vogliamo fermarci. Ecco perché abbiamo pensato di lavorare con strumenti tecnologici nuovi, anche a distanza», «una fase di sperimentazione che mettiamo a disposizione di altri parlamenti, magari di quelli che lavorano anch'essi su grandi spazi, come il Brasile o gli Stati Uniti». I parlamenti europei faticano a prendere questa strada. Ma per l’eurocamera era obbligata, alla vigilia di pronunce cruciali come quella sul piano di ripresa. «Trovare modalità nuove non è semplice ma oggi tutti devono fare i conti con la pandemia», è la conclusione, «questa organizzazione di lavori deve essere sostenuta perché la democrazia non si fermi. Una democrazia che arriva in ritardo è una democrazia che non si fa amare».

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