All’inaugurazione della sede comitato elettorale di Siena – niente spese inutili, un combinato di arredi «reinventati, rigenerati», ovvero presi qua e là dalle sezioni dem del collegio Toscana 12 – Enrico Letta lancia una «moratoria sul Quirinale». Chiede cioè «a tutti i leader politici» di riparlare dell’elezione del Colle «l’anno prossimo, da gennaio», perché «se iniziamo a fare giochi politici ora per quattro mesi...». Il segretario dem in realtà dice a nuora perché suocera intenda; insomma ce l’ha con i suoi, come sottolinea a modo suo Matteo Salvini: «È lui che continua a parlarne, fa tutto lui, probabilmente è la cannabis».

Sostanze a parte, c’è del vero nelle parole del leghista: in questi ultimi giorni i dirigenti dem, pizzicandosi fra loro sul candidato al Colle e sul congresso, hanno rischiato di trascinare il presidente Mattarella e il premier nel dibattito interno al partito. Goffredo Bettini, per esempio, ha candidato Draghi al Quirinale, alludendo così a un voto anticipato. E scatenando la reazione stizzita di Base riformista. Bettini ieri si è riallineato: l’appello del segretario è «di grande saggezza», concede, le priorità sono altre, «il tema sollevato da me nei giorni passati voleva essere una piena conferma della fiducia per Letta fino alle politiche e poi al congresso che le seguirà». Al fondo della sua uscita c’è che nella sinistra dem si fa strada il dubbio che Draghi abbia già deciso di trasferirsi al Colle, a tempo debito. In questo caso il Pd, che invece lo invita a restare a palazzo Chigi fino al 2023, dovrà reagire con prontezza per evitare di regalare l’elezione del nuovo presidente della Repubblica alla Lega. Ieri da«fonti diplomatiche» è filtrato che il 16 dicembre Mattarella farà una visita al Papa in vista della conclusione del settennato. Resta che la quasi totalità del gruppo dirigente si è autoconvinto di un prossimo Mattarella bis, che considera l’unica vera garanzia di arrivare a fine legislatura.

Il ragionamento sul Colle si intreccia quello sul congresso. Negli scorsi giorni, complice una votazione formale sullo statuto, è rimbalzata l’ipotesi di un’anticipazione delle assise. Dal Nazareno la risposta è stata netta e seccata: «Parlare di congresso in piena campagna elettorale è lunare». Ma c’è un’altra strada per portare avanti una discussione congressuale – cioè sul programma e sul posizionamento politico del partito – dicendo di non farlo, ed è la strada delle «agorà democratiche». Lanciate da Letta prima dell’estate per allargare il partito, e guardate all’inizio con sufficienza da tutto il gruppo dirigente, ora tornano utili alla battaglia politica. Sul sito ufficiale (agorademocratiche.it) se ne possono contare ventritré già “autorizzate” (cioè passate alla verifica di correttezza formale, servono le firme di almeno dieci iscritti al Pd e dieci non iscritti) e ventidue in attesa di autorizzazione su diversi filoni (occupazione, welfare, aree interne, salario minimo). Ma fra un po’, dopo le amministrative, arriveranno le proposte più “pesanti”. Per esempio l’area della sinistra vicina al vicesegretario Peppe Provenzano si prepara a lavorare insieme ad Art.1, soprattutto a Vasco Errani e al ministro Roberto Speranza, su temi definiti «caratterizzanti»: il lavoro e la salute.

Altrettanto faranno i Giovani turchi, da ieri impegnati a Roma nella festa della loro corrente (quest’anno si intitola Chiaroscuro, citazione dai Quaderni gramsciani per descrivere il periodo di interregno fra il vecchio mondo e il mondo nuovo). Domani Matteo Orfini firmerà la proposta di legge di iniziativa popolare sulla patrimoniale lanciata dall’opposizione da Nicola Fratoianni di Sinistra italiana. L’aveva già sottoscritta come emendamento alla legge di bilancio, con il parere negativo del governo e grande imbarazzo nel Pd. Il testo parte, spiega Fratoianni, «dalla presa d’atto che l’Italia è il paese europeo in cui si è più ristretta la quota di ricchezza posseduta dal 50 per cento più povero della popolazione, crollata dell’80 per cento, mentre è esplosa, triplicata, quella nelle mani dello 0,1 più ricco». Il riequilibrio si otterrebbe cancellando le imposte patrimoniali sulle persone fisiche (come l’Imu) e introducendo un’imposta unica e progressiva, con franchigia di 500mila euro. Ha firmato lo storico dell’arte Montanari, il sociologo De Masi, l’ex leader Cgil Cofferati, ma anche qualche dem sparso, fra cui la sindaca di Crema Stefania Bonaldi e interi circoli dei Giovani democratici. Ora firmeranno i giovani turchi, che pure sono estimatori del premier. E andranno oltre: «Chiederemo al Pd di riflettere», annuncia Orfini, «e visto che tutti possono promuovere un’agorà, ne proporremo una ad hoc, in modo che la patrimoniale diventi la linea del Pd». Letta ha detto che le cento proposte più apprezzate entreranno nel programma. Dunque il congresso, cacciato dalla porta, rientra dalla finestra delle agorà. E proprio su temi a rischio: l’area “riformista”, quella che vorrebbe che l’agenda del Pd fosse quella di Draghi, è già scattata alla proposta di Letta sulla tassa per i giovani. Alla parola patrimoniale, neanche a dirlo, vede rosso.

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