Per un capriccio del destino tocca alla segretaria cresciuta a pane e antiberlusconismo militante, quella più movimentista della storia del Pd, quella della corrente che non accettò le larghe intese con Forza italia del governo di Enrico Letta del 2013, che poi uscì dal Pd di Matteo Renzi e della «profonda sintonia» del Patto del Nazareno con Silvio Berlusconi; insomma tocca alla leader democratica più agli antipodi del leader defunto esprimere a nome del suo partito il cordoglio «alla famiglia, ai cari, a tutta Forza Italia, alla maggioranza e al governo». «Si chiude un’epoca», dice Elly Schlein, «siamo stati sempre avversari ma in questo momento resta il grande rispetto che si deve a un protagonista della storia politica del Paese». «In segno di rispetto» rinvia la direzione del partito prevista per questo pomeriggio. Anche molte iniziative del Pd sui territori si fermano, dall’Emilia Romagna alla Puglia.

Dovrebbe toccare a lei rappresentare il Pd, e cioè l’altra parte del paese («l’altra Italia», si diceva negli anni 90) ai funerali di Stato che si terranno mercoledì alle 15 al Duomo di Milano. A ieri sera la decisione non era presa ma sembra scontata. Ci sarà senz’altro Romano Prodi, l’avversario che l’ha due volte battuto. Ci sarà il capo dello Stato. Ed è un altro capriccio della storia: Sergio Mattarella è uno dei cinque ministri della sinistra Dc che nel 1990 si dimisero contro la legge Mammì che legittimava l’anomalia delle tv dell’allora rampante Sua Emittenza, ufficializzando il duopolio Rai-Fininvest. Oggi, quasi 35 anni dopo, Mattarella parla di un «grande leader politico», ne ricorda la sua spinta per «l’indirizzo atlantico ed europeista» della Repubblica. Tace, forse per carità di patria, degli ultimi «indirizzi» filoputiniani e antiucraini. Fanno altrettanto i dirigenti del Pd, del resto, non è il giorno delle critiche politiche.

Pd unito e smemorato

Giacca nera, Schlein parla alle telecamere che l’aspettano alla sala Sassoli del Nazareno, già preparata per la direzione del pomeriggio. Il primo appuntamento complicato da quando è segretaria. Si annunciava un fuoco di fila contro di lei. Per la prima volta dalla sua elezione, avrebbe affrontato un Pd diviso, dopo la sconfitta delle amministrative e le polemiche.

Invece l’avversario di sempre – in realtà alleato di ben tre governi di larghe intese – fa un ultimo miracolo, dei tanti della sua carriera politica: unisce il Pd. Premessa la «lontananza delle opinioni», nel coro del cordoglio non ci sono stecche. Se ce ne sono, è per eccesso di riconoscimenti: «Un sicuro protagonista degli ultimi decenni della storia italiana» (Debora Serracchiani), «un protagonista assoluto» (Pina Picierno), «un protagonista dell’Italia repubblicana» (Francesco Boccia, la cui moglie Nunzia Di Gerolamo, oggi conduttrice tv, è stata una deputata forzista), «il suo ruolo cruciale nella politica italiana è innegabile» (Stefano Graziano).

Non è dunque il giorno dell’analisi della sconfitta delle comunali, ma soprattutto non è il giorno dell’analisi della sconfitta epocale che Berlusconi ha inferto alla sinistra italiana. E se il giorno della direzione sarà uno della prossima settimana, quest’altro non è neanche sul calendario.

Eppure la storia dell’ex cavaliere è, per calco, la storia dei guai della sinistra degli ultimi quarant’anni. Prima ancora della sua “discesa in campo” (1994), c’è uno scaffale di saggi che ricostruiscono la sottovalutazione e poi la debolezza da parte comunista verso l’imprenditore televisivo rampante; poi l’abbaglio giustizialista e la delega della lotta politica ai pm nell’era di Tangentopoli (che Berlusconi imprenditore tv sposa con entusiasmo, pregustando la distruzione di un’intera classe politica, e subito il Berlusconi leader politico avversa con una crociata contro i magistrati mai finita); le vittorie politiche (1994, 2001, 2008), i governi, le leggi ad personam, fino alla decadenza da senatore per via giudiziaria (2013), quando i parlamentari di Forza Italia minacciano le dimissioni gridando al golpe, («Un’umiliazione per il paese», dice il premier Letta, «Non c’è nessun golpe», il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano). Fino alla trasformazione del diavolo decaduto ma non troppo in padre della patria perché indispensabile alleato dei governi di larghe intese: quello di Mario Monti (2011), Enrico Letta (2013), Mario Draghi (2021).

Frammenti di errori

Frammenti di analisi affiorano qua e là nel cordoglio dei leader di lungo corso. «Ha sdoganato la destra consentendole di assumere guida del Paese», ricorda l’ultimo segretario Ds Piero Fassino, e il riferimento è al 1993 quando al Campidoglio si schiera con Gianfranco Fini contro Francesco Rutelli: Rutelli vince, Berlusconi vincerà alle politiche dell’anno dopo grazie alla destra post fascista. «La grandezza va riconosciuta anche negli avversari. Berlusconi ha cambiato la storia politica italiana e tutti noi, anche contrastandolo, abbiamo seguito il percorso di bipolarismo e alternanza che lui ha avviato», dice Dario Franceschini. Ma è il bipolarismo in cui la sinistra è rimasta in partita solo con il centrosinistra guidato da Romano Prodi, e che invece l’ha condannata alla sconfitta seriale da quando è nato il Pd. Walter Veltroni, che del Pd è stato il primo segretario, nella campagna del 2008 neanche lo nominava (diceva «il principale esponente dello schieramento avversario»); oggi sottolinea «il suo ancoraggio all’europeismo». Va più a fondo il suo ex braccio destro Walter Verini: la scomparsa «non ci può far dimenticare le sue responsabilità politiche, i suoi conflitti di interesse». Indimenticabili sono anche i governi di centrosinistra che non hanno varato una legge contro quei conflitti di interesse.

L’uscita di scena di Berlusconi cambia di nuovo la storia del Pd? Sicuro. Perché terremota le famiglie centriste che si contenderanno l’eredità politica di Forza Italia. Il malessere dei moderati del Pd era uno dei temi all’ordine del giorno della direzione slittata. Il tema resta. Ma lo svolgimento sarà diverso. Quanto diverso, al Nazareno ieri nessuno era in grado di immaginarlo. È chiaro solo che ancora una volta la storia del Pd rischia di dipendere dall’avversario di sempre. Chissà se per l’ultima volta.

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