Questa volta a dissentire da Elly Schlein non è un esponente dell’ala cattolica, e neanche di quella riformista. Stavolta a dire addio al Pd è un esponente dell’ala sinistra, quella che dovrebbe sentirsi più a casa nel nuovo corso della segretaria, accusata appunto di piegare il partito a sinistra. A lasciare è Massimiliano Smeriglio, eurodeputato indipendente ma da cinque anni a Bruxelles inserito solidamente nella delegazione dem, o almeno così sembrava fino a pochi mesi fa. In quota Pd ricopre anche un incarico di prestigio nell’europarlamento: è coordinatore della Commissione per la cultura e l'istruzione. 

Ieri l’addio: prima la comunicazione al capodelegazione Brando Benifei e una lettera ai colleghi europarlamentari, subito dopo con un’intervista a manifesto.

«Una direzione politica chiusa e incerta»

Toni più affettuosi nelle prime, più politici nella seconda. Ma la sostanza è la stessa: al giornale comunista dice che «con Schlein c’è stato un dialogo, credo dovessero fare delle verifiche, poi più nulla. Non nascondo un dissenso politico importante, ma in un grande partito non dovrebbe essere un problema. C’è una assenza di agibilità determinata da logiche territoriali autoreferenziali. Sempre le stesse. Prendo atto, con disappunto, dell’indifferenza verso il lavoro svolto e l’imbarazzo per le battaglie fatte. Soprattutto quelle ambientaliste e pacifiste».

Con i colleghi è comprensibilmente più esplicito: «Si può andare in minoranza costantemente e rispettare l’esito della discussione se ci si sente parte di una comunità e una storia comune. Non ha senso se intorno si percepisce indifferenza o aperta ostilità. E ovviamente non mi riferisco a voi. Così come la mancanza di relazioni, con il gruppo dirigente, fondate sulla trasparenza e il coinvolgimento hanno lasciato il segno», e ancora «Non mi ritrovo in una direzione politica chiusa e incerta che allude a suggestioni piuttosto che costruire una robusta e duratura linea politica. Che dialoga, apre e include. Non le figurine ma culture politiche e pezzi di classe dirigente».

Verso i rossoverdi

Il riferimento è alle posizioni non precisamente allineate che lui stesso ha preso durante la legislatura su temi come pace, guerra e ambiente. Ma che in teoria, e cioè a parole, non hanno mai interrotto il rapporto con il gruppo di Bruxelles e neanche con la segretaria. Che avrebbe anche offerto all’europarlamentare la conferma nelle liste Pd. Ma «nel tempo, su questioni di fondo, la distanza è aumentata, soprattutto su transizione ecologica e guerra», dice Smeriglio. Le incertezze e i silenzi riscontrare in questi ultimi mesi hanno fatto il resto: cioè lo hanno convinto a cambiare strada. 

«Ho deciso di fare una scelta difficile, coerente con la mia storia e con le posizioni assunte in parlamento, lasciare la delegazione Pd e dedicarmi al rafforzamento di una alleanza per la giustizia climatica e sociale e un’Europa soggetto di pace», dice al manifesto».

Ora guarda «con attenzione a Europa Verde e Sinistra Italiana. Avs è diventata punto di riferimento per tante reti, vertenze, conflitti territoriali e esperienze di governo come quella di Roma con Gualtieri». Non è ancora una candidatura, ma poco ci manca: «La mia è una scelta essenzialmente politica. Più avanti parleremo di elezioni».

Più che altro si tratta di un ritorno a sinistra: Smeriglio è stato uno degli uomini più vicini a Nichi Vendola ai tempi di Sinistra ecologia e libertà, esattamente come Nicola Fratoianni, oggi segretario di Sinistra italiana. Da questa parte si era avvicinato al Pd di Zingaretti, di cui è stato collaboratore storico, dai tempi della provincia di Roma (di cui era assessore) a quelli della Regione Lazio, di cui è stato assessore e vicepresidente. Ma soprattutto Smeriglio è stato coordinatore del movimento Piazza Grande che ha portato Zingaretti alla vittoria delle primarie. 

Schein ai ripari con Tarquinio

«Ho accettato quella sfida per modificare le forme dell’organizzazione politica, spostando l’asse a sinistra. Molta gente ci ha creduto. Quella stagione è finita malamente, con le dimissioni incomprensibili di Zingaretti motivate da giudizi durissimi sulla natura irriformabile del Pd a cui è seguito solo silenzio», dice ancora al manifesto. 

«C’è stata una coda, le Agorà di Letta, tramite le quali Schlein è arrivata al Pd. Niente più. Per me la partecipazione, l’autoriforma dei partiti e del campo, insieme ad un robusto investimento sulla cultura politica e al rapporto oggi inesistente con gli intellettuali, continuano ad essere tema strategico. Rimpiango la fase in cui di questo tema si discuteva, anche nel Pd». Parole severe sulla stagione Schlein, e la novità stavolta è che vengono da sinistra, proprio quella parte in cui la segretaria si sente più forte. 

Il lato politico che lei sta cercando di rafforzare proprio nelle liste per le europee: fra i corteggiati speciali, l’attivista Cecilia Strada, figlia di Gino, fondatore di Emergency e da ultimo Marco Tarquinio, già direttore di Avvenire, il quotidiano dei vescovi, e da quella postazione protagonista delle manifestazioni pacifiste per il no alle armi all’Ucraina.

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