Al senato hanno votato insieme la mozione sul 25 aprile, ma poi il giorno della Liberazione hanno marciato divisi. I leader dell’opposizione ieri si sono tenuti l’uno alla larga dell’altro. Elly Schlein al corteo di Milano; Giuseppe Conte a Roma ma al Museo di via Tasso e non al tradizionale appuntamento dell’Anpi, dove pure c’è il sindaco Roberto Gualtieri e il segretario della Cgil Maurizio Landini. Carlo Calenda, anche lui nella capitale, è al Pantheon, in un sit-in a sostegno dell’Ucraina; Matteo Renzi fa un post su Twitter.

Insomma niente da fare: di quel vecchio discorso amoroso intitolato “campo largo” non c’è più neanche un frammento. Neanche il giorno in cui dalle piazze arriva un no chiaro al governo “non antifascista”, che rischia di stare in sella per molti anni. Non che il tema delle alleanze sia sparito dai ragionamenti del Nazareno.

La segretaria ha chiesto ai suoi di non rispondere alle «provocazioni» di Conte, sull’inceneritore romano e sul referendum contro le armi all’Ucraina. Ma la scelta di non fare risse deriva da un impegno che Schlein ha preso all’ultima direzione, a porte chiuse: «Vi assicuro: non archiviamo la questione della coalizione».

Ma non bisogna farsi deviare dal fatto che il primo esame politico per la segretaria saranno le europee della primavera 2024. Ascoltare Peppe Provenzano, responsabile esteri del Pd: «Non possiamo aspettare il “dopo” europee, un qualche sistema di alleanza lo dobbiamo costruire già lì».

E cioè: «È vero che si vota con il proporzionale, ma noi siamo fra le principali forze socialiste e abbiamo il dovere di sminare il tentativo di Giorgia Meloni di saldare un’alleanza che tagli fuori i socialisti. Quindi con i verdi e con i liberali dobbiamo comunque porci temi comuni per governare l’Europa. Se no il rischio è che si realizzi un’alleanza estrema destra, popolari e governeranno loro».

Non solo amministrative

Certo, c’è anche la tornata di amministrative del 14 e 15 maggio a consigliare evitare zuffe. «Il quadro delle alleanze è a macchia di leopardo», è la fotografia scattata da Davide Baruffi, responsabile enti locali del Pd.

«Nei centri maggiori, dove nelle liste ci sono i simboli di partito, è più complicata. Più facile la composizione unitaria nei comuni sotto i 15mila abitanti dove ci son le liste civiche. Siamo alleati dei Cinque stelle in un terzo dei comuni. In Puglia quasi ovunque. Ma non c’è nessun caso in cui siamo riusciti a mettere insieme nella stessa alleanza Terzo Polo e M5s, se non in qualche caso in cui esponenti del Terzo polo stanno nelle civiche».

Un orizzonte nazionale dunque ancora non c’è. E non ci sarà, a sentire Carlo Calenda: «Schlein sta portando il Pd in una posizione estrema a sinistra», ha spiegato martedì in tv, «Sul salario minimo non ho ancora visto una proposta della Schlein. Non mi convince quello che intende fare».

Rimettere insieme i cocci di un’alleanza mai nata per il Pd è un rompicapo. E per Schlein, che pure confida di prendere una buona percentuale alle europee – l’asticella è fissata al 25 per cento – lo spettro è finire come Enrico Letta. Che alle politiche è partito animato dalle migliori intenzioni coalizioniste, ma è finito solo, o in compagnia di pochi cespugli. Schlein riparte con le stesse intenzioni del predecessore.

Un obiettivo che tre anni fa era stato disegnato da Goffredo Bettini sul Foglio: un’alleanza Pd, M5s e Renzi. «Egli, se volesse, avrebbe tutto il talento di progettare un nuovo spazio liberale moderato, come il costruttore di questa possibilità, individuando i leader più adatti a guidarlo. Sarebbe una svolta rispetto al suo ruolo di picconatore minoritario».

Era l’agosto del 2020. Oggi di quel Renzi non c’è più traccia. Ma il tema resta quello che Bettini aveva posto: «Se un campo alternativo alla destra non ritrova le coordinate di legarsi a un progetto politico serio, e ognuno cammina per conto suo, regaleremo il paese alla destra».

E se fino alle europee può andare così, «poi, verso le politiche, spero prevalga un’altra logica. Il Pci era un partito comunista che mai poteva sperare di governare, ma in ogni campagna elettorale si presentava con una proposta di governo».

Dunque, la conclusione provvisoria e pratica è: di qui alle europee «sarebbe utile che almeno gli atteggiamenti più aspri, quelli che creano le voragini poi incolmabili, siano evitati. Si può praticare una competizione che mantiene un minimo di solidarietà interna, e un coordinamento in parlamento su alcune battaglie comuni». Anche per evitare che il M5s, accecato dalla sfida a sinistra con Schlein, si avviti nel settarismo ideologico.

«È chiaro che non si può fare finta che il tema delle alleanze non esista fino alle europee», ragiona Matteo Orfini, «perché ci sono le regionali e le amministrative. E il tema si pone soprattutto per il Pd: perché mentre per M5s e Terzo polo il tema della vittoria alle regionali non esiste, per noi è cruciale almeno non perdere quelle che già governiamo». E allora come fare a stringere gli alleati in uno straccio di dialogo? «Costruendo battaglie comuni.

Sul salario minimo, anche se è già stato bocciato. Perché non tentare la strada di una legge di iniziativa popolare? Sul Pnrr c’è l’opportunità di dialogare con pezzi di società: lavoratori, imprese, enti locali. E ius soli: costruiamo comitati unitari, andiamo a raccogliere insieme le firme per il paese. A quel punto diventerebbe più difficile rompere. Poi se invece gli alleati andranno su un’altra linea, diventa chiaro che non c’entrano nulla con noi. Quello che non possiamo fare è inseguire l’alleanza con chi ti fa sistematicamente l’opposizione».

In cerca di sintesi

Una suggestione, quella dei comitati unitari, che riprende anche Gianni Cuperlo: «Alla segretaria ho proposto di far nascere i comitati popolari per l’alternativa, come nella migliore stagione dell’Ulivo. Faccio un esempio: nel sud molta gente per bene è contrarissima all’autonomia differenziata. Persone che non si iscrivono al Pd e che non sono appassionate della querelle Schlein - Conte ma che su singole battaglie aggreganti sono disponibili. Da qui si può sciogliere il tema delle alleanze: quando hai rapporti di forza sfavorevoli nelle istituzioni, la sola via che hai è cambiare i rapporti di forza sociali nel paese. E Schlein ha grandi chance su questo, perché ha un livello di credibilità che le consente di non essere accusata di strumentalismo».

Più nelle strade che in parlamento, dunque: «Parliamoci chiaro. Che si tratti del dl Cutro, del lavoro, della Zan o del salario minimo, in questa legislatura non porteremo a casa nulla. Dunque non ci possiamo concentrare solo nell’attività parlamentare. Schlein deve provare la costruzione del fronte largo dell’alternativa sul terreno sociale. Che poi è stato il limite di Letta: il campo largo era un giusto obiettivo, ma era perimetrato nei rapporti politici.

Prima la rottura con Conte, poi con Calenda, poi l’accordo con Fratoianni: è stato solo un risico interno al ceto politico». Quel Nicola Fratoianni che ha le idee chiare: «Davanti a questa destra un’alleanza è necessaria. Ma perché sia efficace occorre che, a partire da un’altra idea di paese, ricostruisca un rapporto con ampi settori della società, con chi non vota più, con chi non si fida più. Per questo occorre fare presto. Senza nascondere le differenze ma coinvolgendo nel confronto forze sociali, civiche, attivando partecipazione».

Ecco che come in un gioco dell’oca, si torna alla casella iniziale: il Pd può cercare alleati senza aver irrobustito il Pd? No, secondo Lorenzo Guerini: «In questo momento la chiave principale è lavorare a rafforzare i consensi per il Pd. E avere pazienza e perseveranza per costruire le alleanze. Ma intanto non dobbiamo rinunciare a prendere i voti anche degli elettori che si definiscono di centro. Alle fine si torna sempre alla vocazione maggioritaria. Se sei un partito forte sei attrattivo anche per i potenziali partner. Se sei debole, già sconfitto in partenza, i problemi diventano insuperabili».

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