Caro vecchio realismo: c’è una nuova Schlein che doma i cacicchi

La direzione del Pd è rimandata a metà settembre; il regolamento del congresso campano che dovrà eleggere Piero De Luca segretario del Pd regionale sarà firmato «a ridosso di Ferragosto». Per la formalizzazione del candidato presidente in Puglia, che è e resterà Antonio Decaro, se ne riparla a settembre. Stesso dicasi per individuare il candidato del campo largo in Calabria: martedì scorso Elly Schlein, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni si sono riuniti in call e si sono ridati appuntamento fra quindici giorni: il nome calabrese, che non sarà targato Pd, sarà quello ritenuto in grado di non «perdere male» contro l’uscente Roberto Occhiuto. Sono questi gli impegni con cui per il Nazareno oggi inizia la tregua di mezza estate. Direzione e dilazione La prima decisione, quella sull’ennesimo rinvio della direzione, è stata pacifica, anzi pacificissima. La direzione non dovrebbe essere convocata prima di metà settembre. Più avanti si spinge la data, maggiori saranno gli accordi nelle regioni da presentare (cioè rivendicare) come tappe positive sulla strada del futuro campo largo, malgrado tutto. Fin qui convocarla non si poteva, secondo il Nazareno: ad ora Puglia, Campania e Calabria restano senza candidati ufficiali, e gli accordi restano per aria. Il prossimo 13 settembre Elly Schlein interverrà alla festa del Fatto a Roma; il 14 settembre chiuderà la festa nazionale dell’Unità a Reggio Emilia. È difficile che la direzione venga convocata prima. L’assemblea nazionale invece seguirà, come l’intendenza di Napoleone. In realtà lo Statuto del Pd stabilisce che «ordinariamente» l’assemblea debba essere convocata «almeno una volta ogni sei mesi» dal presidente. Ma né Stefano Bonaccini, appunto il presidente, né le minoranze riformiste hanno voluto chiederla invocando le regole. La verità è che oggi nel Pd litigare non è interesse di nessuno. Non della segretaria, che sa che ogni confronto interno si traduce mediaticamente in «rissa nel Pd». Non dei riformisti che, incassata la ricandidatura di Eugenio Giani in Toscana, debbono ancora portare a casa la segreteria campana e l’ufficializzazione della candidatura di Decaro in Puglia: meglio dunque non aprire conflitti con Schlein. Anche perché lei ha via via imboccato, nel partito, una strada ogni giorno più pragmatica: rottamata la retorica dell’«estirpiamo cacicchi e capibastone», si è seduta ai tavoli laicamente per ottenere le condizioni migliori per vincere le regionali. Vale per la conferma della candidatura di Matteo Ricci nelle Marche, vale per la Campania e la Puglia, terre che fin qui sono state i regni di Vincenzo De Luca e di Michele Emiliano, considerati cacicchi per antonomasia. «Neanche in Corea» In Campania il Ferragosto porterà consiglio al commissario del Pd Antonio Misiani, che «a ridosso» firmerà il regolamento che di fatto segnerà l’inizio del congresso. Con De Luca il Nazareno ritiene di aver concluso un accordo favorevole, o almeno win-win: gli ha fatto trangugiare la candidatura di Roberto Fico e gli ha fatto rinunciare all’idea bellicosa di presentare due liste “di riferimento” (sarà una, con ogni probabilità). Il Nazareno a sua volta ha dato l’ok all’elezione del figlio Piero a segretario regionale, ma questo viene considerato un male minore, anzi: il figlio farà da scudo umano al Pd campano contro eventuali picconamenti del padre. E comunque, viene spiegato: «Un congresso di scontro fra deluchiani e schleiniani sarebbe finita 80 a 20». Opposta la versione di chi in questi mesi si è battuto contro De Luca senior. Si sente sconfessato, cova rivolta. C’è chi spiega che se il congresso sarà convocato prima delle elezioni – la data probabile del voto è il 23 novembre – «ci troveremo con un padre governatore e un figlio segretario regionale: una roba che neanche in Corea». Nel prossimo consiglio, fra uscenti rientranti di area De Luca e neoeletti grillini, a fare le spese sarebbe proprio la sinistra interna. L’eurodeputato Sandro Ruotolo e il deputato Marco Sarracino per ora tacciono. Del resto il tentativo di chiudere l’accordo offrendo a Piero De Luca un posto in segreteria nazionale è andato a sbattere: né Schlein lo voleva tanto vicino, né Bonaccini ha accettato di rinunciare al “suo” Davide Baruffi (pure sempre più defilato da quando è diventato super-assessore in Emilia Romagna). Ora nella “base” ribollente del Pd campano circola la minaccia di presentare un candidato alternativo a De Luca junior. Non vincerebbe, certo. Ma farebbe di peggio: sancirebbe una frattura nell’area della segretaria. E se anche questa frattura riuscisse ad essere ricucita resta il malessere di chi con De Luca i patti non li ha mai cercati: come Pina Picierno, la leader riformista radicale che con Giorgio Gori lavora a un’area che si stacchi dal «riformismo consociativo» (definizione non nostra) di Bonaccini. Con pazienza Schlein e i suoi – in primis il responsabile organizzazione Igor Taruffi – spargono realismo in dosi da cavallo. Puglia moral dissuasion Lo stesso in Puglia. Lì Decaro chiede che i suoi due predecessori, Nichi Vendola e Michele Emiliano, non si ricandidino. Sulla candidatura di Vendola il Pd non può nulla. Su quella di Emiliano – su cui anche i Cinque stelle oppongono la questione del «rinnovamento» – il Pd sta tentando una moral dissuasion. «Decaro ha sbagliato a dettare le sue condizioni dai giornali», lamenta un deputato vicino alla segretaria. Che però alla fine scommette che il presidente non si candiderà. Per la moral dissuasion del Pd, non per il fuoco di sbarramento grillino: «In Campania fanno gli accordi con De Luca, invece in Puglia con Emiliano chiedono “rinnovamento”?». Alla vigilia della pausa estiva Schlein ha imparato una cosa: che i risultati si perseguono con pazienza, non con il «lanciafiamme». Che fu di Renzi, e non portò bene.