È arrivato, dunque, l'atteso primo report nazionale della Cei sugli abusi sui minori ed è ancora più fumoso e carente di quanto ci si potesse aspettare. A essere presa in esame è stata infatti soltanto l'attività dei Servizi diocesani e le segnalazioni arrivate ai centri di ascolto delle diocesi nel 2020 e 2021.

Dati scarni e confusi, che riguardano solo 158 diocesi su 226: fra quelle che non hanno risposto, quasi un quarto del totale, c'è anche la diocesi di Piazza Armerina, che vede uno dei suo sacerdoti, don Giuseppe Rugolo, sotto processo per violenza sessuale su minori. Quale può essere la credibilità di un dossier che non prende nemmeno in esame le diocesi con casi noti?

Zuppi non si presenta

Clamorosa anche l'assenza del cardinale Matteo Zuppi, che non ha presenziato alla presentazione del report preferendo partecipare a una riunione con i suoi vicari episcopali a Bologna. Un'assenza che suona ancora più pesante perché era stato proprio Zuppi, appena eletto presidente della Cei, a promettere un'interlocuzione con le vittime.

Un dialogo che con Italy Church Too, il coordinamento di associazioni cattoliche e laiche a sostegno delle vittime, non è mai nemmeno iniziato. Con Francesco Zanardi, presidente della Rete L'Abuso, il cardinale ha avuto due incontri durante l'estate che lo stesso Zanardi giudica «una completa delusione».

Ecco dunque la cronaca di un fallimento annunciato, viste le premesse poste dalla Cei a maggio, quando ha presentato l'inchiesta italiana come tutta interna alla Chiesa, rifiutandosi di affidarla a soggetti terzi e indipendenti.

I numeri: nel biennio in esame, sono 86 le persone che hanno contattato 30 dei 90 centri di ascolto presenti sul territori, mentre gli altri 60 sportelli non hanno mai ricevuto una segnalazione: non sarà un segno che le vittime non si fidano della Chiesa?  

I casi di abuso riportati sono 89, nel 52,8 per cento riguardano l'oggi e nel 47,2 per cento il passato; si sono riscontrati 61 casi nella fascia d'età fra i 10 e i 18 anni e 12 sotto i 10 anni, 16 invece riguardano adulti vulnerabili. Per quanto riguarda la tipologia degli abusi in 9 casi si parla di rapporti sessuali, in 13 di molestie e per il resto di pornografia, esibizionismo o adescamento online.

Che cosa fa la Chiesa per queste vittime? Offre «percorsi di sostegno psicoterapeutico e di accompagnamento spirituale».

Di risarcimenti, invece, nemmeno a parlarne: «come Conferenza episcopale non abbiamo articolato forme più precise di aiuto», dichiara monsignor Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei.

I casi

Clamorosa, poi, la rivelazione che i fascicoli riguardanti casi di abuso depositati dal 2000 presso il Dicastero per la dottrina della fede sono 613: fino ad oggi la Cei aveva parlato soltanto genericamente di “un centinaio” di faldoni.

Solo aprendo gli incartamenti si scoprirà se fanno riferimenti alla reiterazione di reato (quindi con più vittime) oppure se sono casi archiviati. Quale sarà la reale portata di questi documenti lo si saprà in un non meglio precisato futuro, quando verranno esaminati da ancora più vaghi «centri di ricerca indipendenti».

I “presunti autori degli abusi”, fra preti e laici, sono secondo il report 68: a loro vengono proposti «percorsi di riparazione e conversione» e psicoterapia ma non vengono segnalati all'autorità giudiziaria. «Non vogliamo sostituirci alle forze dell'ordine o alla magistratura – dice monsignor Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio Nazionale per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili della Cei – i reati noi li ascoltiamo e se riguardano persone della Chiesa provvediamo che sia fatto un giusto processo canonico. Fino alla sentenza, però, le persone sono considerate innocenti e hanno diritto alla buona fama».

Impuniti

Anche in caso di condanna ecclesiastica, il peggio che può capitare a un sacerdote pedofilo è la riduzione allo stato laicale: nel frattempo, per garantire la sua “buona fama”, può essere soggetto a generiche sanzioni disciplinari da parte del vescovo oppure lasciato libero di continuare il sacerdozio, anche vicino ai minori.

«Noi però incoraggiamo le denunce delle vittime alle autorità civili – precisa Ghizzoni – e a chi non vuole farlo chiediamo che firmi un documento in cui dichiara che si oppone alla denuncia». Una sorta di liberatoria per mettere le mani avanti in caso di future contestazioni, se non addirittura un possibile strumento di ricatto.

Sulle responsabilità dei vescovi nell'insabbiare i casi di pedofilia, monsignor Ghizzoni assicura poi che «verranno presi provvedimenti nei confronti degli inadempienti», ma non sa dire se questo sia già successo o se si tratta soltanto di un auspicio per il futuro.

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