Nelle scorse settimane, è arrivata in Commissione Affari Costituzionali una proposta di legge «in materia di pubblicazione di una nota illustrativa per agevolare la comprensione del contenuto delle leggi e degli altri atti aventi forza di legge». Ma è davvero ciò che serve per rendere comprensibili le leggi?

La proposta di legge

La relazione di accompagnamento della proposta in discorso parte dal condivisibile assunto che lo Stato «deve impedire un’oggettiva e insuperabile “oscurità” della norma»: come affermato anche dalla Corte Costituzionale (n. 364/1988), una persona «può considerarsi colpevole solo ove la conoscenza della norma sia possibile».

I relatori evidenziano che la conoscenza «sostanziale» delle leggi, cioè la possibilità di comprenderle, «non può ritenersi certa», dato che «la norma è scritta in un linguaggio tecnico», e una certa tecnicità giuridica non può essere evitata. Per consentire a chiunque di conoscere il contenuto della norma», la proposta di legge prevede «una nota illustrativa del contenuto dell’atto legislativo redatta secondo criteri di chiarezza espositiva» da un «Comitato di esperti di materie giuridiche, di linguistica e di comunicazione». La nota – da pubblicare anche sulla Gazzetta Ufficiale – «non avrebbe un’efficacia normativa, né finalità interpretativa, ma meramente illustrativa». Essa potrebbe contenere «una sorta di dizionario che, per un numero più o meno ampio di concetti giuridici, individui un corrispondente termine di uso comune, per poi procedere a una “traduzione” del testo di legge»; oppure realizzare «una sintesi efficace del contenuto»; o ancora «elaborare elenchi di domande ricorrenti con le relative risposte».

Per valutare la proposta, serve chiedersi se davvero l’oscurità delle norme dipenda dal loro linguaggio tecnico. Da lavori in tema di qualità della regolamentazione, elaborati nel corso degli anni, si evince che i problemi sono altri.

I problemi di chiarezza

Se si parte dal documento più recente, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, la parte dedicata alle semplificazioni rileva la vigenza di norme «estremamente articolate e complesse», «stratificate nel tempo in maniera poco coordinata e spesso conflittuale su diversi livelli amministrativi (nazionale, regionale e locale)». Andando a ritroso nel tempo, nel 2014, la Commissione parlamentare per la semplificazione parla di norme «sempre più dettagliate e tale dettaglio, molte volte eccessivo, tende a facilitare il contenzioso, (…) può essere potenziale terreno di coltura della corruzione». Nel documento del 2011 dal titolo “La buona scrittura delle leggi”, a cura del Comitato per la legislazione, la scarsa chiarezza del linguaggio normativo è imputata, innanzitutto, a «chi dovrebbe padroneggiare il linguaggio» - il legislatore – ma dimostra «scarsa conoscenza della propria lingua madre», con «errori sintattici», «forme verbali al singolare invece che al plurale, inesattezze lessicali» o «termini generici in luogo di quelli più appropriati». Il documento evidenzia, inoltre, «una eccessiva lunghezza dei singoli articoli, che spesso contengono un numero abnorme di commi» o «formule generiche di abrogazione che generano incertezza circa l’elenco completo delle norme da abrogare». Si stigmatizza, poi, l’uso di sigle «in modo improprio» («si dovrebbe sciogliere la sigla la prima volta che la si usa», ma «la regola è seguita in modo sporadico») e di «termini tipici del “burocratese” (…) del “sindacalese e politichese” (…), di linguaggi settoriali». Soprattutto, si rileva «l’oscurità del testo legislativo, a causa dei ripetuti e numerosi rinvii ad altre norme» - incluse quelle attuative, «da emanare successivamente» - «che rendono non ricostruibile per il normale cittadino, ma anche per l’addetto ai lavori, il “puzzle” normativo». È, poi, del 2001 una circolare del presidente della Camera (analoga a circolari del presidente del Senato e del presidente del Consiglio), che intende porre un argine alla cattiva formulazione di testi legislativi: dal divieto dei verbi servili a quello della doppia negazione o dell’uso di termini stranieri.

Dunque, il problema non è solo e tanto il linguaggio tecnico delle leggi: è che le leggi sono scritte male, dalla sintassi al lessico agli intrecci e affastellamenti regolatori.

I dubbi sulla proposta di legge

Rendere una legge intelligibile a chiunque dovrebbe significare, prima di tutto, redigere un testo di facile interpretazione e applicazione. Invece, la proposta di una “traduzione” delle norme sembra la presa d’atto che non le si possa scrivere chiaramente. Detto ciò, in un Paese ove le leggi sono in numero abnorme, l’idea di aggiungere a esse anche una nota illustrativa, moltiplicando gli atti da consultare, non pare una buona idea.

Innanzitutto, nonostante la valenza meramente informativa della relazione, la pubblicazione di quest’ultima sulla Gazzetta Ufficiale determinerebbe un affidamento dei cittadini. Ma se in un’aula di tribunale i magistrati dessero una lettura diversa da quella fornita nella relazione, come sarebbero giudicati i cittadini che si sono fidati?

Inoltre, la relazione esplicativa «potrebbe contenere «elenchi di domande ricorrenti con le relative risposte», si legge nella proposta: vengono in mente le Faq (Frequently Asked Question), elaborate in occasione di decreti e ordinanze dall’inizio della pandemia. Le Faq talora hanno interpretato disposizioni in maniera non conforme al testo, sì da far ipotizzare che la loro funzione fosse anche quella di correggerne il tiro, non solo di spiegarle. L’effetto è stato quello di maggiore confusione, oltre a rendere le Faq quasi una nuova e impropria fonte del diritto

Infine, la proposta non considera che la chiarezza dei testi normativi può non essere voluta. Ciò accade, ad esempio, quando una legge è frutto di un compromesso tra più parti politiche, e tale compromesso può esprimersi solo con disposizioni che si prestano a più letture. In questo caso, nessuna relazione illustrativa potrebbe spiegare ai cittadini come stanno davvero le cose.

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