Al momento della Liberazione, il comandante del campo, crudele sulle prigioniere inermi, buttò la divisa nel fosso e la sua pistola cadde ai miei piedi. La tentazione di prenderla e sparargli fu fortissima: «Io avevo odiato, avevo sofferto tanto, sognavo la vendetta e ucciderlo mi sembrò il giusto finale di tutta quella vicenda». È qui che la storia cambia il suo corso. È in quel preciso momento che una ragazzina di soli 15 anni, atterrita da mesi di dolore sofferto e osservato nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, vessata, umiliata, denutrita, stremata dalla Marcia della Morte che nelle intenzioni dei tedeschi avrebbe dovuto trasferire a piedi 56.000 internati dalla Polonia al nord della Germania, diventa Liliana Segre.

Su quel crinale labile tra la perpetuazione infinta dell’odio e la coscienza, tra il bene e il male, in quell’esatto attimo, la bambina si trasforma in gigante. «Capii di esser tanto diversa dal mio assassino, che la mia scelta di vita non si poteva assolutamente coniugare con la teoria dell’odio e del fanatismo nazista. Io, nella mia debolezza estrema, ero molto più forte del mio aguzzino, non avrei mai potuto raccogliere quella pistola, e da quel momento sono stata libera».

Quel proiettile rimasto inesploso nella pistola del carnefice insegna che perfino sulle barbarie assolute può prevalere l’umano. Quel gesto di vendetta soffocato nel proprio intimo, ha offerto al mondo un modello, un metodo, una teoria e una pratica, perseguiti per tutta la vita da Liliana Segre, da quel drammatico giorno fino all’impatto con l’ennesima campagna d’odio che un anno fa ha costretto il prefetto di Milano Renato Saccone ad assegnarle una scorta.

Giovedì la senatrice a vita, da poco novantenne, farà il suo ultimo discorso pubblico e ha scelto di regalarlo ai ragazzi di Rondine Cittadella della Pace, quella «realtà straordinaria, il mondo che vorrei vedere negli anni che mi restano». A loro la Segre vuole consegnare il testimone. Ma perché proprio Rondine?

Rondine

Apparentemente limitata dai confini dell’omonimo borghetto medievale, nell’incantevole cornice della campagna aretina che ha ispirato Leonardo, Rondine ha al contrario visione e dimensioni tipiche della realtà internazionale.

A fondarla è stato Franco Vaccari, uno psicologo dalla forte vocazione civica, quasi ossessionato dalla ricerca della pace e di metodi innovativi per favorirla. Nel 1997, dopo varie esperienze di mediazione nelle situazioni di tensione dell’Est europeo, viene chiamato a fare da negoziatore nel conflitto russo-ceceno e accoglie la richiesta di ospitare due giovani russi e tre ceceni a Rondine per dare inizio a un percorso di dialogo e riconciliazione.

I ragazzi arrivano e resistono per un anno. Un giorno, però, si ritrovano nella lavanderia e si rifiutano di mischiare mutande e calzini nella stessa lavatrice. Riemergono violente le radici del conflitto e i ceceni se ne tornano a casa arrabbiati come prima.

«Fu un fallimento – spiega Vaccari – ma ci fece capire la via da intraprendere: per la Cittadella della Pace avremmo cercato gente disposta a lavarsi mutande e pedalini nella stessa acqua. Saremmo arrivati alla politica passando per le relazioni tra persone, avremmo cercato chi era disposto a ferirsi di amicizia per non ferirsi di violenza».

Città della Pace

Detto, fatto. Rondine apre gli antichi portoni lignei, i locali vengono riadattati a ostello, le vecchie stalle ad aule, uffici e mensa, si costituisce l’Associazione Rondine Cittadella della Pace e nel 1998 nasce World House. Lo studentato, dopo una scrupolosa selezione, accoglie giovani provenienti da paesi o aree dilaniati da guerre, instabilità o tensioni, per farli convivere, studiare e lavorare insieme e formarli alla leadership per la pace.

«Gli studenti – aggiunge Vaccari – intraprendono un percorso di formazione biennale basato sul ‘Metodo Rondine’, che mira a trasformare il conflitto in opportunità di cambiamento generando un impatto nei contesti di provenienza. Al termine dei due anni, i giovani tornano nei propri paesi, formati a essere agenti di una cultura diversa e pronti a offrire un proprio contributo a sanare i conflitti dei propri popoli».

Un nuovo modello relazionale

Oggi la World House accoglie trenta studenti di venticinque nazionalità diverse di medio oriente, Balcani, Africa, Caucaso e America Latina, e ne ha già formato oltre duecento.

Il suo metodo, basato sulla definizione di un nuovo modello relazionale che mira a disinnescare il conflitto trasformandolo in occasione di crescita e sviluppo, ha guadagnato riconoscimenti accademici da parte dell’Università Cattolica di Milano e dell’Università di Padova e viene studiato ad Harvard, in Canada e in molte altre università nordamericane, oltre che applicato in tantissime situazioni di conflitto latente, dalle aziende italiane fino alle realtà di odio etnico, tribale religioso o interstatale.

«Fin da bambini ci insegnano a essere patriottici – spiega Agha, un giovane azero presidente dell’Associazione degli ex studenti di Rondine – ma cos’è il patriottismo? Da noi il concetto, infarcito di bellissime parole come amore, lealtà, attaccamento, devozione, si traduce in realtà in odio profondo, separazione, distanziamento fino all’omicidio. A Rondine ho vissuto accanto al mio “nemico” armeno e a tanti altri ragazzi e ho capito che il migliore patriota è quello che aiuta chi abita nel suo paese a vivere meglio, indipendentemente da etnia, religione, appartenenza».

Metodo Segre

«Sono stato al fronte e ho combattuto, facevo il cecchino nelle forze speciali – gli fa eco Elad, israeliano – e quando sono tornato a casa ero un altro. Mi facevo mille domande, tutti mi dicevano di combattere il nemico, ma il nemico che faccia ha? Qual è il suo volto? Quando sei in guerra, meno lo vedi, meglio è. A Rondine ho visto in faccia il nemico, ho convissuto e conosciuto altre realtà, ho avuto il tempo per abbattere i pregiudizi, per capire che non c’è solo una versione del conflitto. Ora sono a casa e, certo, la realtà è sempre quella, ci sono cattivi in entrambe le parti e se mi chiamano dovrò andare di nuovo a difendere il mio paese, ma Rondine mi ha insegnato a dubitare e sapere che a volte il nemico è dentro di te».

Nel frattempo, a partire dal 2015, all’esperienza della World House si aggiunge il progetto “Quarto Anno Liceale d’Eccellenza”, un’estensione del Metodo Rondine (che forse un giorno chiameremo Metodo Segre) al contesto scolastico italiano: trenta 17enni selezionati in tutte le regioni italiane si trasferiscono nel borgo per svolgere il loro quarto anno superiore e intraprendono un percorso formativo, riconosciuto dal ministero dell’Istruzione, che fornisce gli strumenti necessari a sviluppare un progetto di ricaduta sociale una volta tornati a casa.

Nel 2018, invece, studenti ed ex di Rondine approdano nella sede Onu di New York per lanciare la campagna globale “Leaders for Peace”: un appello agli stati membri a sottrarre una somma dal budget della difesa e a devolverla a borse di studio per giovani leader di pace.

Un posto meraviglioso

Per niente irenica, mai incline a facili buonismi, radicata nelle dure terre del mondo dove si consumano conflitti reali, Rondine attrae ogni anno, Covid permettendo, oltre 10mila visitatori da ogni luogo d’Italia e del mondo affascinati dall’atmosfera di rilassamento, conoscenza geopolitica e serietà che si respira.

È qui che oggi i ragazzi che studiano come diventare Liliana Segre e lasciare la pistola che potrebbe freddare il nemico, la accolgono, alla presenza dei presidenti di Camera e Senato, del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e di alcuni ministri, per la sua ultima testimonianza pubblica.

«Ho degli amici speciali da una ventina d’anni in un paesino vicino ad Arezzo – spiegò a Fabio Fazio durante Che tempo che fa lo scorso 26 gennaio – che hanno ristrutturato un vecchio borgo ricavandone uno studentato per amici-nemici. Lì ragazzi da tutto il mondo studiano per realizzare l’utopia di tornare a casa, dove c’è guerra, e costruire la pace. Questo posto meraviglioso in cui si parla di pace è l’espressione di ciò che spero nella vita. È lì che ho deciso di concludere la mia attività pubblica».

Il bivio

A Rondine quindi Segre affida la propria eredità. Nel corso degli ultimi vent’anni la senatrice a vita ha intrecciato a filo doppio la sua vita con quella degli studenti, li ha visitati, seguiti regolarmente, ha visto in loro la via di educazione alla dissoluzione dell’odio. Il suo braccio stanco ma ancora energico passa a loro idealmente il testimone. È una storia di fiducia quella che lega Rondine ai ragazzi del mondo e che l’ha condotta a calcare le strade impiastricciate di odio del pianeta.

Strade simili a quella fangosa, popolata da donne, uomini, bambini allucinati dall’orrore che ha portato Liliana Segre, tra il gennaio e l’aprile del 1945, da Auschwitz al lager di Ravensbrück prima, e nel campo di Marchow poi, in una marcia macabra simbolo dell’assurdità e della banalità del male. Al bivio, c’è sempre una pistola da prendere o da lasciare. C’è la scelta di essere liberi o schiavi per sempre dell’odio.

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