Il 2 febbraio scorso, subito dopo la deliberazione del nuovo decreto legge, in vigore dal 5 febbraio, l’account ufficiale di palazzo Chigi ha scritto su Twitter che «i provvedimenti approvati oggi in Consiglio dei ministri vanno nella direzione di una maggiore riapertura del paese». In che senso il paese sta riaprendo?

La riapertura

Il nuovo provvedimento non dispone alcuna “riapertura”, anche perché – salvo le discoteche, chiuse fino al 10 febbraio – al momento non ci sono “chiusure”.

Peraltro, il giorno prima del tweet citato, il 1° febbraio, erano divenute operative ulteriori restrizioni per l’accesso a servizi e attività non essenziali, ove è richiesto il green pass base; e il 15 febbraio entrerà in uso il super green pass per l’ingresso nei luoghi di lavoro, destinato agli over 50, per i quali dal 1° febbraio sono attivi i controlli inerenti al rispetto dell’obbligo vaccinale nella medesima fascia di età. Dunque, parlare di “riaperture” nel mezzo di ulteriori strette pare una nota stonata.

L’attuale calo dei contagi, registrato dal bollettino quotidiano, precede queste misure più stringenti, operative solo adesso.

Ciò dimostra, da un lato, che esse sono arrivate troppo tardi, circa un mese dopo il decreto che le ha sancite, a propria volta deliberato circa un mese dopo l’emersione delle evidenze sulla variante Omicron; dall’altro lato, che nel contrasto al Sars-CoV-2 il governo ha puntato forse più sull’effetto-annuncio che sulla efficacia delle misure varate, inducendo alla vaccinazione.

Infine, la concomitanza fra il calo dei contagi e l’entrata in vigore di tali misure solleva problemi sulla necessarietà e proporzionalità di queste ultime rispetto all’attuale rischio sanitario.

Il report dell’Istituto superiore di sanità sull’efficacia dei vaccini

La zona rossa 

Ai sensi dell’ultimo decreto, in zona rossa i vaccinati resteranno liberi come in qualunque altra. Ma anche questa non può essere definita una “riapertura”.

Con il miglioramento della situazione pandemica, l’ipotesi di zona rossa è meramente teorica, dunque l’abolizione delle restrizioni per i vaccinati in tale zona ha più un valore simbolico che altro.

Ci si chiede, poi, quale sia il senso di mantenere i “colori”, considerato che già ora i vaccinati possono fare tutto ovunque e i non vaccinati, invece, quasi niente.

Dal 1° febbraio la durata del green pass era divenuta pari a sei mesi, ma il decreto del 2 febbraio l’ha nuovamente modificata, facendola diventare indefinita dopo la terza dose di vaccino.

Dunque, a seguito della somministrazione di tale dose, il green pass resterà valido senza necessità di altro. Siccome l’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, ha affermato che non ci sono evidenze scientifiche a supporto della necessità di una quarta dose, la validità indefinita si traduce in una validità al momento illimitata, in attesa di eventuali evoluzioni e semmai di nuovi richiami.

Attualmente è previsto che la certificazione Covid sia usata fino alla conclusione dello stato di emergenza, il prossimo 31 marzo, salvo che per gli over 50, i quali saranno tenuti a esibirla fino al 15 giugno per entrare nelle sedi di lavoro.

Pare probabile che, dopo tali date, non vi sarà il suo totale abbandono, ma una progressiva riduzione del suo utilizzo. Insomma, il green pass resterà anche oltre la fine dell’emergenza. Comunque, sarà bene che il governo continui a fissare un termine finale all’impiego della certificazione, trattandosi di uno strumento al cui possesso è condizionata la libertà di circolazione.

La scuola

Il decreto non riapre nemmeno le scuole, anche perché almeno formalmente esse non erano mai state chiuse, nonostante la diffusa didattica a distanza (Dad).

«Veniamo incontro alle esigenze delle famiglie, che trovano il regime attuale delle quarantene troppo complicato e restrittivo», è stato detto riguardo alle misure sulla scuola appena varate.

Sarebbe stato meglio riconoscere che, come evidenziato in un articolo precedente, il “regime” elaborato dal governo era burocraticamente farraginoso, quindi si rendeva necessario intervenire a prescindere delle istanze delle famiglie.

La nuova disciplina introduce semplificazioni quanto a tamponi e soglie per didattica a distanza, dunque è probabile che ne trarrà giovamento la presenza degli studenti a scuola.

Le ultime regole si fondano su una sorta di presunzione di mancanza, o attenuazione, dei rischi di contagio per chi è vaccinato e di presenza di tali rischi per gli altri. Rischi che diventano apprezzabili, e fanno scattare la didattica a distanza solo per i non vaccinati, con 5 o più positivi in classe alle scuole materne ed elementari, con 2 o più positivi per medie e superiori.

Non è dato sapere quali evidenze scientifiche abbiano indotto a nuove regole solo pochi giorni dopo il varo delle regole precedenti, nonché alla diversa modulazione delle soglie fra i differenti gradi di scuola.

Conoscere tali evidenze sarebbe essenziale per verificare se, sul piano giuridico, possa parlarsi di “discriminazione” – come qualcuno ha fatto – per i non vaccinati.

In altre parole, spiegare il motivo, in termini di maggiore rischio, per cui è necessario che essi restino a casa oltre un certo numero di positivi in classe può far comprendere se la misura sia necessaria e proporzionata.

Stranieri in Italia

Per entrare nei posti dove ai residenti in Italia serve il super green pass, per i soggetti provenienti da uno stato estero basterà un certificato di avvenuta guarigione o vaccinazione anti Sars-CoV-2 anche se sono trascorsi più di sei mesi dal completamento del ciclo vaccinale primario o dall’avvenuta guarigione, purché facciano un tampone ogni 48 o 72 ore.

Sarà consentito l’accesso pure nel caso di vaccinazioni con vaccini non autorizzati o non riconosciuti come equivalenti in Italia, sempre previa effettuazione di test.

Insomma, per gli stranieri c’è un regime più favorevole rispetto a quello vigente per i residenti. La norma sembra una sorta di compromesso per non penalizzare chi arriva da paesi ove vige una disciplina meno restrittiva di quella italiana: ciò affinché, una volta arrivato, non gli sia preclusa qualunque cosa, dato che per accedere a hotel, ristoranti, mezzi di trasporto pubblici, serve il green pass rafforzato.

Detto questo, oltre al regime differenziato tra residenti e non, la disposizione presenta alcune criticità. Da un lato, se il green pass è uno strumento di tipo sanitario, com’è stato detto, che serve a garantire in determinati luoghi l’accesso e la presenza solo di persone con la protezione vaccinale data da tre dosi, il governo dovrebbe spiegare la ragione sanitaria, oltre a quella di opportunità, della deroga concessa.

Dall’altro lato, se la disposizione persegue l’intento di favorire il turismo, servirebbe valutare se e quanto possa risultare attrattivo un paese che, oltre al certificato vaccinale, chiede anche un tampone ogni due o tre giorni, mentre in altri Paesi la libertà di circolazione non è condizionata ad alcuno strumento. Dunque, il nuovo decreto non sembra una “riapertura”, nemmeno in questo senso.

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