Con Pina Picierno (Pd), vicepresidente dell’Europarlamento e grande sostenitrice dell’Ucraina – per questo minacciata da Mosca e oggi sotto scorta – non si può non partire dalla scelta Usa di interrompe gli aiuti militari a Kiev. «Trump ha una comunanza di interesse con Putin, entrambi, puntano a indebolire l’Europa. La difesa dell’Ucraina non significa soltanto il sostegno a un alleato in difficoltà, ma anche la difesa del multilateralismo, dello stato di diritto, della possibilità di dire che non è possibile modificare i confini di uno Stato sovrano con l’uso della forza. Dobbiamo tenere fermo il rispetto del diritto internazionale». Cosa che, spiega, vale anche per il Medio Oriente. Lì «l’Europa sta sbagliando forte».

Il prossimo 10 luglio nell’Europarlamento arriverà una mozione di sfiducia contro von der Leyen sul “Pfizergate”. La voterete?

È un’iniziativa dell’estrema destra, e come noto noi non votiamo con l’estrema destra.

Presto invece si riporrà il tema che Kiev possa utilizzare le armi inviate anche oltre i confini.

Non si può chiedere a un aggredito di difendersi a mani legate. L’Ucraina deve poter colpire obiettivi militari e strategici in territorio russo che servono come base per le aggressioni.

Il suo partito non la pensa così.

Lo so, e invece il mio gruppo politico a Bruxelles la pensa così in maniera maggioritaria e larga. Nel Pd c’è un dibattito e so bene che la posizione maggioritaria è diversa. Pesa il condizionamento di certa propaganda e disinformazione, ma le classi dirigenti hanno la responsabilità di spiegare, e dirigere. Confondere il pacifismo con la neutralità è un’operazione di comodo. Difendere la pace significa difendere e aiutare gli aggrediti.

C'è un dibattito nel Pd?

C’è, ed è rispettoso delle diversità, almeno qui a Bruxelles. Meno a livello romano e nazionale. Sono sorpresa che a due settimane dalla richiesta di convocazione della direzione, e a un mese dalla sconfitta del referendum, non sia stata ancora convocata una direzione per discutere. È sbagliato. Anche deprimente, nel senso che mira a deprimere la vivacità del confronto. Non ci sono più luoghi dove potersi confrontare, ed è grave per un partito nato dall’incontro di culture politiche diverse che nel confronto hanno sempre trovato sintesi alte.

Ci sono gli obblighi dello Statuto. Ma non risulta che la minoranza riformista si stracci le vesti.

All’ultima direzione online, convocata solo sul bilancio, la senatrice Simona Malpezzi ha chiesto formalmente la convocazione di una direzione per discutere delle scelte fatte e della linea politica. Il Pd non può diventare un club ideologico dove si sta bene solo con chi la pensa allo stesso modo. Deve essere aperto, plurale. E invece noto un tentativo di evitare il confronto, come se chi la pensa diversamente fosse un problema. Un’involuzione preoccupante.

Intanto nascono tante “tende” centriste.

E si applaude, a leggere Goffredo Bettini, segno che ormai l’idea è che il Pd debba essere un partito marcatamente di sinistra e chi non la pensa così fa bene a farsi la sua tenda. A quest’idea non mi rassegno, così come non mi rassegno a chi da trent’anni tenta strategie politiche in laboratorio, anzi da un appartamento dei Parioli.

È un fatto che il Pd non può rappresentare tutte le culture politiche di un centrosinistra ampio. Che nascano altre tende non è un bene per la coalizione?

Sì, abbiamo bisogno di una gamba riformista, non genericamente centrista, o cattolica o moderata. L’esatto contrario. Abbiamo bisogno di una radicale novità programmatica per il paese. Se sarà dentro o fuori il Pd dipenderà da chi guida oggi il Pd, e se crede che il Pd debba essere la copia allargata di Avs o no. Se la valutazione è che il campo è troppo stretto, non si può cercare di allargarlo con la stessa offerta elettorale che già c’è dentro, pescando una leadership casuale. Chi riduce il riformismo a un’opzione collaterale a un’alleanza elettorale, come fa Renzi, è responsabile della sconfitta del riformismo. E sembra quasi che il suo fallimento corrisponda all’estinzione di una specie. Non è così, consiglierei meno narcisismo.

Insomma, non deve nascere nessun centro nel centrosinistra?

Dipende da cosa sarà il Pd. La mia battaglia per ricostruire un partito plurale e rispettoso delle differenze non è solo per la possibilità di avere, da riformista, cittadinanza nel mio partito, riguarda la natura stessa del Pd. Se ci arrendiamo all’idea del club ideologico, smarriamo la funzione per cui siamo nati nel 2008. E quello che nascerà fuori rischia di assomigliare proprio al Pd delle origini. Sto facendo un tentativo di spiegarlo chiaro, con spirito collaborativo. Ma le cose che dico sui giornali vorrei dirle in una riunione di partito. Anche più liberamente.

Diciamo la verità: è innanzitutto un problema interno ai riformisti, che su questo non hanno preso voce collettiva e unitaria. Che sono divisi, insomma.

A me tutto si può dire tranne di non essere vocale. Ma è vero: Energia popolare ha abdicato alla funzione che gli elettori al congresso ci hanno assegnato. Stefano Bonaccini ha fatto molto bene il presidente del partito, con spirito unitario. Ma è mancata la possibilità di dare profilo politico e identità agli elettori e ai militanti riformisti del partito, che nel partito sono stati la maggioranza.

Chiede un congresso?

Se qualcuno lo vuole per rafforzare la sua leadership, lo dica chiaro. Per me è necessario un appuntamento programmatico aperto. Per decidere una volta per tutte la natura, il perimetro e la proposta di governo per il paese. Se siamo tornati nella casa che fu dei Progressisti nel ‘94, bisogna dirlo.

Il pacifista Marco Tarquinio dice che vuole far “evolvere” la cultura del Pd.

Con Tarquinio mi confronto spesso. Ma è singolare che alla presentazione di una «rete» che di fatto è un’altra corrente, chi non è iscritto al Pd immagini evoluzioni per il partito. E comunque, per me, essere neutrali sull’Ucraina sarebbe un’involuzione inaccettabile.

© Riproduzione riservata