«Non ci sono problemi con Mediaset» dice Giorgia Meloni. Una dichiarazione inusuale per una presidente del Consiglio, che dopo la separazione dal suo compagno a mezzo fuorionda di Striscia la notizia deve rassicurare i media (e la famiglia Berlusconi) che non ci saranno ripercussioni sul rapporto del governo con il Biscione, come avevano profetizzato nei giorni scorsi i suoi colonnelli. A seminare la preoccupazione a Cologno Monzese era stata soprattutto l’idea, circolata nelle ultime ore, di innalzare il tetto della pubblicità in Rai dal 6 per cento a cui è vincolato ora. Una prospettiva che chiaramente non dispiace a viale Mazzini, che si mostra però attendista. Nel servizio pubblico conoscono bene i tempi della politica: per cambiare il sistema ci vorrebbe una nuova legge, quindi appare molto più a portata l’extragettito, quella parte del canone che va nel fondo per l’editoria e vale oggi circa 110 milioni di euro. Pochi, maledetti e subito.

Sembra in realtà improbabile che viale Mazzini riesca a mettere le mani su quel gruzzolo, ma la suggestione della revisione del tetto pubblicitario – già discussa nell’ultima legislatura – apre una serie di nuovi fronti. Innanzitutto dentro la maggioranza, dove Forza Italia già si scaglia contro questa possibilità, che danneggerebbe Mediaset: «Nessuna forza politica l’ha proposta per il momento» spiega il senatore azzurro Maurizio Gasparri. Dal Pd Stefano Graziano, capogruppo in commissione Vigilanza obietta che «bisogna affrontare il tema dei conti seriamente, non sfuggendo, altrimenti si rischia di far diventare la Rai la nuova Alitalia. L’aumento della pubblicità è solo un pezzo della soluzione». Il M5s vede il rischio di «un servizio pubblico al servizio del mercato». Effettivamente, anche se la raccolta pubblicitaria della Rai vale parecchio, aumentare il tetto rischia non fa la differenza sui conti.

Né può risolvere i problemi che la proposta leghista di tagliare il canone sta creando a viale Mazzini. Per il 2024, il governo ha deciso di compensare il taglio di venti euro dalla bolletta con 430 milioni di euro provenienti dalla fiscalità generale, ma per il futuro nulla è scritto. Dovesse ridursi il tesoretto proveniente da altre tasse, servirebbe ben altro che un tetto poco più alto alla raccolta. Per capirci, nel 2022 gli spot valevano complessivamente circa 500 milioni di euro: un aumento di un punto percentuale porterebbe la cifra complessiva raccolta a poco meno di 600 milioni. Non poco, ma parliamo di un ordine di grandezza totalmente diverso rispetto ai 430 milioni stanziati dal governo in manovra.

Tutto questo, se la pubblicità dovesse ancora rendere quanto ha fatto finora: il prezzo degli slot è legato alla performance delle reti e con lo share che la Rai sta restituendo non è detto che la resa sia la stessa. Una questione non da poco, visto che in passato la Rai è stata accusata a più riprese di praticare anche politiche di dumping sui prezzi degli slot da assegnare, manipolando di fatto il mercato pubblicitari. La poca trasparenza dei listini di viale Mazzini, denunciata anche dall’Agcom, non ha migliorato le cose. Se l’andamento degli ascolti non dovesse fare un salto di qualità, la svendita degli spazi potrebbe raschiare il fondo del barile.

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