Doveva essere il fiore all’occhiello del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) nell’ambito delle grandi opere, un’eccezionale vetrina del saper fare italiano. È stato invece un mezzo fiasco il primo passo per la nuova diga foranea progettata per dare a Genova la possibilità di accogliere anche le grandi navi da 20 mila Teu così da permettere al porto ligure di non rinunciare al sogno di fare concorrenza agli scali del nord Europa.

Alcuni giorni fa all’iter della grande opera è stato dato un colpo di acceleratore, ma all’indietro. Tanto che ora molti cominciano seriamente a dubitare che l’opera sarà fatta davvero o che comunque possa essere rispettato il programma che prevedeva la fine lavori entro il 2026.

Alla fine di giugno le grandi aziende nazionali e straniere interessate alla faccenda avrebbero dovuto presentare le carte per partecipare alla gara da cui sarebbe scaturito il vincitore. E invece, scaduto il termine, non si è presentato nessuno.

È stata una figuraccia internazionale. Al posto delle offerte le aziende interessate, che sono il fior fiore dell’imprenditoria nazionale ed europea, hanno inviato due note stringate che sembrano il bollettino della ritirata. Il primo raggruppamento di imprese formato da Webuild (ex Salini-Impregilo), Fincantieri, Fincosit e Sidra ha comunicato con «profondo rincrescimento» che non intende «rispondere positivamente» all’invito ricevuto a presentare l’offerta per costruire la nuova diga foranea del porto di Genova. A stretto giro di posta è stata consegnata anche la seconda lettera di rinuncia dell’altra cordata in pista, quella targata Gavio-Caltagirone più gli spagnoli di Acciona.

Accordo preventivo?

Come si fossero preventivamente messi d’accordo, entrambi i raggruppamenti hanno manifestato lo stesso sorprendente motivo per il rifiuto: «Non ci conviene». Eppure la base d’asta indicata dal presidente dell’Autorità portuale di Genova, Paolo Emilio Signorini, non era uno scherzo: 950 milioni di euro, una cifra cospicua che pone la diga di Genova al primo posto per quanto riguarda la spesa nell’elenco delle grandi opere del Pnrr, escluse quelle ferroviarie per ognuna delle quali sono stanziati importi ancora più elevati.

Entrambi i raggruppamenti interessati alla realizzazione della diga hanno obiettato che l’importo di spesa previsto è troppo basso, sostengono che a quel prezzo non rientrerebbero neanche delle spese, meglio fare un passo indietro subito piuttosto che infilarsi in una rogna.

Sia Webuild-Fincantieri sia Gavio-Caltagirone-Acciona informalmente hanno lasciato intendere che la cifra ritenuta congrua per potersi affacciare alla gara è superiore di almeno il 25 per cento a quella fissata, cioè 1 miliardo e 250 milioni di euro. La rinuncia dei colossi delle costruzioni è un fatto clamoroso e preoccupante, anche se non del tutto inatteso, che segna una svolta rispetto al passato delle grandi opere e nello stesso tempo è un campanello d’allarme per il futuro.

L’aumento dei costi

Rispetto al passato è un passo avanti per quanto attiene alla chiarezza e alla trasparenza il fatto che grandi imprese di costruzioni prima di aprire i cantieri abbiano deciso di sottrarsi a quella specie di mercato delle vacche che ha contraddistinto la storia recente delle grandi opere.

A lungo la prassi è stata che la stazione appaltante pubblica e l’appaltatore privato facessero finta di mettersi d’accordo su una base d’asta ufficiale sottostimata concordando però sottobanco che in corso d’opera ci sarebbero state numerose revisioni dei prezzi giustificate da imprevisti quasi sempre di fantasia.

Il campanello d’allarme sta nel fatto che la rinuncia delle grandi imprese per la diga di Genova segnala un problema oggettivo che interessa tutte le opere del Pnrr: negli ultimi 18 mesi i costi delle materie prime e dei servizi utilizzati per la realizzazione delle infrastrutture sono aumentati di numerosi punti percentuali per cui le ipotesi di spesa calcolate in precedenza rischiano di risultare sottostimate.

Proprio perché gli aumenti dei prezzi sono sotto gli occhi di tutti, la rinuncia delle imprese alla gara per la diga di Genova era nell’aria, informalmente anticipata addirittura in pubblico a un convegno di metà giugno organizzato a Genova dagli agenti marittimi.

Il fatto che nessuno abbia raccolto l’allarme cercando per tempo un correttivo amplifica i contorni della figuraccia. Come da tradizione italiana ora tutto è bloccato, in attesa che qualcuno spieghi se la base d’asta della prossima gara sarà più alta o se invece di tutta la nuova opera magari si farà solo un pezzo.

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