Il ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto lo ripete come un mantra, sia alla Camera che al Senato: «Ci auguriamo lo sblocco della terza rata del Pnrr nelle prossime ore».

Un augurio che, però, è costellato di “ma” e di “se”. Il ministro, in parlamento per una informativa urgente sullo stato di attuazione del piano e sul sistema di governance ha speso il suo intervento tutto in difesa. La terza rata da 19 miliardi, riferita ai 55 obiettivi assegnati all’Italia del 31 dicembre 2022, infatti, per ora è sospesa in attesa delle verifiche della commissione europea: il governo ha ottenuto una proroga di un mese per «definire gli aspetti ancora non condivisi», ma anche questa sta per scadere. Poi sarà il momento della verità e l’Italia rischia di trovarsi con una bocciatura europea, con il mancato arrivo della nuova tranche di fondi e l’enorme problema di progetti finanziati ma non ancora partiti.

Per questo Fitto, che dalla premier Giorgia Meloni ha ricevuto la delega pesantissima di attuare il pacchetto Pnrr, ha scelto la strategia della parziale ammissione («ci sono alcune criticità») e della discolpa («a fine dicembre il governo era in carica solo da due mesi») per poi provare a rassicurare tutti: «Cambiando gli obiettivi in corsa possiamo ancora raggiungere l’obiettivo finale» di spendere tutti i fondi assegnati.

La questione chiave, però, è quella più difficile per l’attuale governo: «Confronto costante con la commissione europea», per trovare al più presto soluzioni per risolvere i problemi che riguardano anche i prossimi obiettivi da raggiungere. «Modificando l’obiettivo intermedio vogliamo salvaguardare quello finale», ha detto Fitto, difendendosi dalle accuse delle opposizioni secondo cui il governo rischia di far saltare i 4,6 miliardi di euro per gli asili nido a causa di ritardi. «Lavoriamo per salvarli», ha obiettato, spiegando che l’intenzione è quella di rinegoziare la scadenza temporale per realizzarli.

Stesso tentativo verrà fatto anche per tutti gli altri progetti in bilico, o per ragioni temporali o per problemi nella realizzazione. Per questo Fitto si attacca all’unico risultato per ora ottenuto su questo da Meloni: quel «richiamo forte alla flessibilità» fatto inserire nelle conclusioni del Consiglio europeo di marzo.

La questione politica sottostante, tuttavia, riguarda proprio le rimodulazioni: concetto assai generico che può voler dire qualsiasi cosa. Per esempio l’utilizzo della «rimodulazione per affossare la strategia della transizione ecologica», ha detto il verde Angelo Bonelli. Il sospetto, infatti, è che all’analisi dell’esecutivo ci sia un tentativo di modificare non solo le scadenze, ma anche le finalità con cui vengono spesi i fondi.

Un mare di incognite

Su tutto il resto, le incognite rimangono moltissime. A partire dalla mancata risposta alla domanda su quali progetti verranno definanziati. «Dobbiamo prima finire il controllo sui progetti irrealizzabili entro il giugno 2026», ha risposto Fitto. Il pericolo, infatti, è di iniziare progetti che non verranno portati a termine entro la scadenza e di cui l’Ue a quel punto revocherà le risorse, lasciando all’Italia il saldo di quanto realizzato fino a quel momento.

Come se non bastassero i problemi sul Pnrr e la necessità di trovare un canale di comunicazione che permetta di rinegoziare le scadenze, dall’Ue arrivano altre brutte notizie. Fonti europee, infatti, hanno fatto filtrare che all’Eurogruppo verrà chiesto all’Italia cosa intenda fare con il Mes, il meccanismo europeo di stabilità, la cui «mancata ratifica» sta bloccando la discussione «di altre misure che potrebbero essere utili». Proprio questa rischia di essere l’ennesima questione aperta sul disordinato tavolo del governo. In campagna elettorale Meloni ha ripetuto che il Mes non andava ratificato e lo ha fatto anche da premier, dicendo che «finchè sarò al governo, l’Italia non vi accederà».

Nei giorni scorsi è iniziato il lavoro di smussatura di questa posizione, con Meloni che ha parlato di «negoziato in corso» e di una apertura se lo strumento «si trasforma in un veicolo per la crescita». Il tempo, però, stringe: il governo deve dare risposte e dalla loro credibilità dipende il Pnrr.

Non a caso, Fitto ha fatto suo l’appello del presidente Sergio Mattarella, che in questi mesi è stato voce autorevole soprattutto verso gli interlocutori europei: «Sul Pnrr è l'ora di mettersi alla stanga», ha detto il Colle. Un invito ad agire che, però, il governo dovrebbe cogliere per primo.

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