Il virus corre anche nelle carceri, con una percentuale di positività che si avvicina a quella esterna (calcolata rispetto al numero di persone che si sono sottoposte al tampone). I numeri, forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dall’Autorità garante delle persone detenute, fotografano un quasi raddoppio dei malati rispetto al report del 28 ottobre scorso.

Secondo il calcolo del 3 novembre i detenuti positivi sono 395, di cui 20 in condizioni gravi da richiedere il ricovero ospedaliero, mentre gli operatori sono 424. Solo una settimana fa i detenuti positivi erano 215 e gli agenti 232. Il dato è in continuo aggiornamento e crescita, con l’aggravamento della situazione in particolare nelle carceri in cui già è presente un focolaio.

«La distribuzione rimane analoga, addensandosi in sole sette situazioni con un numero a due cifre», scrive l’Autorità garante, evidenziando però che nelle carceri dove c’era anche un singolo caso positivo la diffusione è poi stata rapidissima: l’ultimo focolaio segnalato è nel carcere di Alessandria, dove si è registrato il decesso di una persona, l’espansione ora è a più del 14 per cento della complessiva popolazione, con 29 casi su 199 detenuti; oltre al caso di San Vittore dove i numeri sono alti perchè c’è un hub sanitario, a Terni sono positive 69 persone su 509, pari al 13,5 per cento). Altri due focolai potrebbero presto scoppiare a Larino e a Livorno, dove è positivo il 10 per cento dei detenuti.

Negli istituti con più malati, dunque, il rapporto di tamponi/positivi è in linea con quello nazionale, che si è attestato al 14,4 per cento.

Il Dap nei giorni scorsi ha dato indicazione a tutte le carceri di creare un “reparto Covid”, in cui separare dai detenuti sani sia i detenuti che arrivano e che vanno testati o tenuti in quarantena che chi è già risultato positivo.

Reparti Covid

Il problema, però, in molti istituti è sempre lo stesso: lo spazio, sia per gestire questi reparti speciali che per permettere il rispetto delle distanze di sicurezza a tutti gli altri. Attualmente in Italia sono in carcere 54.894 persone, i posti disponibili sono invece 47.187, con un sovraffollamento del 116 per cento, che in alcune strutture tocca anche il 170 per cento. Il problema è stato denunciato anche dai sindacati di polizia penitenziaria.

«Esistono situazioni di grande criticità, sia per mancanza di spazi adeguati sia a causa di difficoltà delle Aziende Sanitarie che non riescono a supportare adeguatamente le direzioni dei penitenziari per le sanificazioni», ha detto il segretario nazionale della Uilpa polizia penitenziaria, Gennarino De Fazio. Per questo la richiesta avanzata al ministero dal Garante è sempre la stessa: «Ridurre il numero delle presenze: necessità in sé, acuita oggi dal problema dell’emergenza sanitaria».

Nel Dpcm della scorsa settimana erano contenute misure per estendere le licenze ai semiliberi ma solo se ammessi al lavoro esterno e per concedere gli arresti domiciliari ai detenuti che hanno un fine pena inferiore a diciotto mesi (e non hanno commesso reati considerati ostativi al beneficio o hanno subito misure disciplinari in carcere). Troppo poco, secondo il Garante che ha calcolato i numeri: la platea complessiva di chi potrebbe andare ai domiciliari è di 3.359 persone ma 1.157 – un terzo di loro – non potrà comunque goderne perchè senza fissa dimora.

Per questo, in sede di conversione del decreto, il Garante chiederà un ampliamento della liberazione anticipata e il rinvio degli ordini di esecuzione per pene di ridotta entità divenute definitive nei confronti di persone libere. Il nuovo Dpcm, invece, non prevede nulla in materia di giustizia. Formalmente, dunque, le visite ai detenuti in carcere continuano a essere possibili nel rispetto delle norme di sicurezza. Tuttavia le forti limitazioni di spostamento in alcune regioni rischiano di rendere questi spostamenti impraticabili per i parenti. Durante la prima ondata di pandemia, proprio la limitazione delle visite è stata la miccia – insieme al diffondersi del contagio – che ha acceso le proteste nei penitenziari.

Il ministero della Giustizia, intanto, si è mosso per tamponare la situazione di emergenza nei tribunali, altro luogo in cui i contagi continuano a diffondersi nonostante lo spostamento via remoto di buona parte delle attività d’udienza e di consultazione dei fascicoli.

Via Arenula ha investito 24,8 milioni di euro per «mascherine, termoscanner, barriere “parafiato”, gel igienizzanti. Ma anche interventi di pulizia straordinaria, sanificazione e una decisa spinta sulla digitalizzazione».

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