Perché nessuno si scandalizza, tra parlamento e partiti, se Matteo Renzi lavora per migliorare l’immagine del principe saudita Mohammed bin Salman accusato da Stati Uniti e Onu di essere il mandante dello smembramento del giornalista Jamal Khashoggi? Perché nel rapporto tra politica e affari è caduto ogni limite.

I Cinque stelle hanno imposto il tema della “casta” convinti che conquistare una “poltrona” fosse il punto di arrivo di una carriera, la garanzia di uno stipendio alto e privilegi. Ma dai tempi dei Vaffaday le cose sono cambiate: ora un passaggio in parlamento o al governo è una fase transitoria per accumulare relazioni e informazioni che poi verranno ben remunerate dal settore privato.

L’ultimo caso è quello di Marco Minniti. Già ministro dell’Interno nel governo Gentiloni e sottosegretario ai servizi segreti in quelli di Enrico Letta e Matteo Renzi, oggi è deputato del Pd, ma viene assunto da Leonardo-Finmeccanica, l’azienda leader in Italia per la tecnologia militare. E viene assunto mentre è in carica, senza neanche aspettare la fine del mandato. Andrà a guidare una specie di diplomazia aziendale di Leonardo, la fondazione Med-Or che si occuperà di rapporti con medio oriente e altre aree dove Minniti è stato molto attivo da ministro e interessato da deputato, in quanto membro della commissione Esteri.

A Leonardo troverà come presidente l’ex capo del servizio segreto esterno, l’Aise, Luciano Carta, nominato presidente dal governo Conte mentre era ancora in carica al posto di un altro ex sottosegretario ai servizi, Gianni De Gennaro, che per primo ha sfidato i limiti della legge Frattini sul conflitto di interessi per sostenere la legittimità del passaggio diretto dal governo Monti (con delega all’intelligence) alla presidenza di Finmeccanica. Da Leonardo però è appena uscito Roberto Cingolani, che per l’azienda si occupava di digitale e per Mario Draghi è il ministro della Transizione ecologica.

Il caso di Minniti arriva dopo una serie di precedenti, accolti da altrettanta indifferenza. In principio fu Lapo Pistelli, che nel 2015 si dimette da viceministro degli Esteri per andare a fare il dirigente dell’Eni, attivo sulle stesse aree che aveva supervisionato dalla Farnesina. Poi è arrivato, nei mesi scorsi, Pier Carlo Padoan: ministro che ha salvato il Monte Paschi con il governo Gentiloni, che in virtù di quel salvataggio è stato paracadutato dal Pd nel 2018 come candidato alla Camera a Siena, infine assunto da Unicredit per gestire la transizione dopo l’uscita di un amministratore delegato, Jean Pierre Mustier, che non voleva accollarsi il Monte, da salvare di nuovo. Poiché l’incarico di presidente di Unicredit è incompatibile con quello di parlamentare, Padoan si è dimesso per sopraggiunta incompatibilità e la Camera si è limitata a prenderne atto. Così è subito iniziata la sua carriera da banchiere.

Il metodo Conte

A ogni governo gli standard si abbassano un po’. Prendiamo il caso di Mariana Mazzucato, stimata economista molto amata anche dai Cinque stelle per le sue teorie sullo stato imprenditore. Diventa consulente del governo Conte a titolo gratuito e poi però finisce nel consiglio di amministrazione dell’Enel, indicata proprio dall’esecutivo.

Tutto normale, tanto che l’ex premier Giuseppe Conte aveva previsto di affidare l’intero Recovery fund a una squadra di manager presi in gran parte da aziende private a controllo pubblico come appunto Leonardo ed Enel, abbattendo così definitivamente ogni limite tra attività nell’interesse dei cittadini e attività nell’interesse degli azionisti (che anche in Eni, Enel, Leonardo e così via sono comunque in larga maggioranza privati). Minuzie al confronto di Francesco Paolo Sisto, che nella vita privata continua a fare l’avvocato difensore di Silvio Berlusconi nel processo Ruby ter, cioè quello sulle bugie raccontate nei processi precedenti sulle ragazze di Arcore, e nella vita pubblica ora farà il sottosegretario alla Giustizia del governo Draghi.

Benjamin Egerod, un economista dell’Università di Copenhagen, ha studiato come le prospettive di lavoro nel settore privato influenzano i comportamenti dei senatori degli Stati Uniti. Quelli a fine mandato che si preparano alla pensione votano in modo più estremo della media, cioè a favore di proposte più radicali. Quelli che andranno a fare i lobbisti negli ultimi anni di mandato si spostano a sostegno delle politiche pro-business, a favore delle aziende.

Negli Stati Uniti, però, le corporation non possono assumere senatori e deputati ancora in carica. Aspettano almeno la fine del mandato. In Italia, invece, è tutto lecito e legale. Come stupirsene visto che la legge in materia l’ha fatta, nel 2004, il campione del conflitto di interessi Silvio Berlusconi?

 

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