Non è una novità che dal Colle più alto possano venire le prediche. Il presidente Luigi Einaudi ritenne, sommessamente gli direi sbagliando, che fossero prediche inutili.

Altri presidenti non ebbero fra i loro meriti (e demeriti) il volere e sapere predicare. Non abbiamo apprezzato abbastanza le esternazioni di Cossiga, non sempre assimilabili a prediche.

Meglio, con i loro stili personali, caratteriali, più o meno politici, i predicatori Pertini, Ciampi e Napolitano il quale più dei suoi predecessori aveva il gusto della predica anche perché convinto che il suo “verbo” fosse più conforme alla storia, alla Costituzione e alla politica di cui questo paese (chiedo scusa: nazione) ha bisogno.

Da tempo, anche il presidente Mattarella ha scelto la strada della predicazione per molti temibile anche perché li invita a pentirsi. Lo fa con parole chiare, raramente diplomatizzate, con riferimenti precisi non affidati all’opera di decodifica dei “quirinalisti/e”, con rimandi sempre opportuni alla Costituzione e in un’efficacissima prospettiva europea.

L’ambiguità della figura della presidenza della Repubblica, rilevata per tempo da pochissimi giuristi (et pour cause perché al livello più alto in un sistema politico di politica è essenziale sapere molto), consente un’espansione della sfera di influenza presidenziale.

Chi poco sa parla a sproposito di “presidenzializzazione”, mentre si tratta piuttosto della flessibilità di cui godono le democrazie parlamentari dotate di un buona Costituzione.

Flessibilità che non si trova affatto nelle Repubbliche presidenziali e che per suo prestigio personale Macron rischia di dimostrare che non abita neppure a Parigi, in un semipresidenzialismo riformato non proprio come avrebbe gradito il suo fautore, il generale de Gaulle.

La Costituzione italiana non solo consente a Mattarella di appoggiare le sue prediche su quanto vi sta scritto. Lo sostiene e lo incoraggia. E il presidente ne trae alimento.

Predicare il ruolo guida del presidente del Consiglio non significa acconsentire silenziosamente alla pratica deleteria della decretazione d’urgenza abbinata alla imposizione del voto di fiducia che non solo schiaccia il parlamento, ma rende irrilevante l’opposizione.

E non sappiamo quante critiche il presidente ha avanzato in via informale. Nel contesto in cui viviamo da qualche anno il meglio delle prediche presidenziali ha riguardato le due tematiche più importanti: la guerra e l’Europa.

A riprova della cultura, della esperienza vissuta, della preveggenza dei costituenti, l’art 11 le contiene entrambe. C’è il fermo, esplicito ripudio della guerra di aggressione e c’è l’indicazione della disponibilità a condividere la sovranità a fini di pace e di prosperità.

Di recente, se lo sono sentiti dire i polacchi, ma nelle orecchie di Orbán più di un fischio è arrivato. Quella predica vale anche per il 25 aprile degli italiani.

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