Rinviare, rinviare, rinviare. Il governo ha una sola certezza davanti ai dossier complicati: prendere tempo. Che sia il voto sul Mes, per non lacerarsi ulteriormente, o che si tratti dell’informativa di Daniela Santanchè, per evitare un processo pubblico o peggio ancora un rimpasto che sarebbe tutt’altro che indolore, si procede a rilento.

La ministra del Turismo riferirà al Senato solo mercoledì 5 luglio, alle ore 15, come stabilito dalla capigruppo di ieri.

Nel frattempo passerà un’altra settimana per quella che si configura come un’informativa sul caso sollevato dalla trasmissione Report sulla gestione delle sue società Ki Group e Visibilia. Respinta al mittente la proposta di una presenza al question time di oggi a Palazzo Madama. Una tempistica troppo serrata per un governo sempre più in versione “sor Tentenna”. E soprattutto ci sarebbe stato il confronto diretto con i senatori interroganti. Impensabile.

Santanchè blindata

Meglio disinnescare qualsiasi situazione imbarazzante, come ammesso implicitamente dal ministro dei Rapporti con il parlamento, Luca Ciriani: «Il question time si sarebbe trasformato in un tiro al bersaglio». La narrazione di Fratelli d’Italia è quella di una gentile concessione fatta dalla ministra alle opposizioni. «Non era tenuta», ha sostenuto Ciriani.

E il presidente del Senato Ignazio La Russa ha rilanciato: Santanchè «avrà piena libertà di decidere se riferire solo al Senato o in entrambe le camere. Non crea alcun precedente». Il Partito democratico non è convinto, avrebbe preferito le risposte all’interrogazione presentata. «Le nostre domande sono molto puntuali e non fanno riferimento solo a inchieste giornalistiche, ma a una serie di fatti inoppugnabili relativi a bilanci pubblici di imprese», ha detto Francesco Boccia, capogruppo del Pd al Senato.

Del resto Santanchè può prendersela comoda. Se qualche giorno fa sembra a un passo dalle dimissioni, oggi appare un po’ più salda. E, nonostante le perplessità interne a FdI, ha ottenuto sia la benedizione di Matteo Salvini sia la protezione di palazzo Chigi. «Mi fido dei colleghi ministri», ha detto il leader della Lega. Parole lontane da quelle pronunciate dal capogruppo leghista alla Camera, Riccardo Molinari, che subito dopo la pubblicazione delle prime inchieste aveva invocato un rapido chiarimento.

Mes ridimensionato

Ma se sulla ministra del Turismo si tratta di un rinvio di pochi giorni, sul Mes si va ben oltre. Il governo sta praticano uno spietato catenaccio e, pur di non cadere in una trappola, continua a spedire la palla in tribuna, più lontano possibile. Certo, ormai è solo questione di tempo: il via libera alla ratifica del Meccanismo europeo di stabilità arriverà. Il parere favorevole del ministero dell’Economia di Giancarlo Giorgetti ha aperto la breccia.

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si è infilata, spiegando ai suoi fedelissimi le ragioni di un netto cambio di linea rispetto agli slogan del passato. E pazienza se l’ulteriore dilazione non ha fatto piacere a Bruxelles.

L’Unione europea attende da mesi solo l’Italia per completare l’iter della riforma, attenderà ancora un altro po’ quando la messinscena sovranista cesserà. Nell’attesa di far digerire la giravolta, l’ordine di scuderia di palazzo Chigi è stato quello di minimizzare. «Non è un’urgenza, non lo è stato fino a oggi», ha detto il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso. Stesso spartito eseguito dal vicepresidente della Camera e volto mediatico di Fratelli d’Italia, Fabio Rampelli: «Non è una priorità, ne parleremo a tempo debito, a settembre». «Non è un problema attuale, è secondario», ha vaticinato il viceministro degli Esteri, il meloniano Edmondo Cirielli. Dichiarazioni fotocopia per dire che c’è tempo, nessuna fretta.

Solo che lo slittamento è l’unico punto fermo di una discussione che continua a essere confusa. Il centrodestra non sa come muoversi. In parlamento ha faticato addirittura e elaborare un piano per affrontare passaggio della proposta di legge, attualmente in esame alla Camera.

Discussione e rinvio

Il Pd, mettendo in agenda la discussione, ha creato grattacapi alla maggioranza. Dopo l’Aventino della scorsa settimana sull’adozione del testo-base, i deputati di Lega, FI e FdI stanno cercando altri stratagemmi machiavellici pur di non prendere una posizione. Non si può dire “sì”, né “no”. Fatto sta che dopo giornate di tribolazione è stata sciolta la riserva: il 30 giugno, come da calendario e salvo ripensamenti last minute,a Montecitorio ci sarà la discussione generale sul testo di ratifica.

Aveva preso forma la tentazione di scappare a gambe levate dal dibattito disponendo, con una votazione a maggioranza, l’immediato ritorno del testo in commissione, così da rimandare subito tutto all’autunno, evitando l'intralcio del dibattito. Solo che sarebbe stato un atto di debolezza ulteriore, proprio mentre la premier Meloni si troverà a Bruxelles per le ultime ore del Consiglio europeo che inizia domani. Una concomitanza non piacevole.

L’accettazione del confronto è apparsa come la strada più indolore. Ora occorrerà soppesare le parole, limare gli interventi fino all’ultima virgola, riponendo gli slogan nel cassetto. E facendo ricorso a tutte le capacità di arrampicata sugli specchi per arrivare all’agognato rinvio.

Lo stesso Rampelli si è lasciato sfuggire una verità – fino a pochi giorni fa impronunciabile – intorno al Mes: il rinvio del voto «non significa che non lo ratificheremo mai». Oggi, intanto, è prevista la scadenza del termine per la presentazione degli emendamenti alla proposta di legge sulla ratifica del Mes. Già una prima bussola sulle mosse del centrodestra, che però sembra sempre disorientato. E decide di rimandare i problemi.

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