Dopo una commemorazione in grande stile dei massacri nelle Foibe, un altro anniversario delicato offre alla destra l’occasione per chiedere la pacificazione del paese, ma rivendicare allo stesso tempo la propria appartenenza pur ricoprendo ruoli che dovrebbero essere caratterizzati da neutralità.

Tra i primi a ricordare il rogo – originato dal fuoco appiccato da alcuni militanti di Potere operaio – che ha ucciso i due fratelli Virgilio e Stefano Mattei, figli di un segretario della locale sezione del Movimento sociale italiano c’è stata proprio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

La premier ha rivolto un messaggio all’Associazione fratelli Mattei: «Il 16 aprile di cinquant’anni fa l’Italia e Roma hanno vissuto una delle pagine più buie della storia nazionale» scrive Meloni. «Erano gli anni dei cattivi maestri sempre pronti a giustificare anche il più orrendo dei crimini o a costruire false verità per coprire i responsabili».

La presidente chiude con un incoraggiamento a tutte le forze politiche «perché non ci siano più nemici da abbattere o da distruggere, ma soltanto avversari, con i quali confrontarsi civilmente e nel riconoscimento reciproco».

Le parole della maggioranza

A ricordare la vicenda sul luogo del rogo si sono recati anche il presidente meloniano della Regione Lazio, Francesco Rocca, l’assessore alla cultura di Roma Capitale, Miguel Gotor, seguiti dal ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, dal vicepresidente della Camera Fabio Rampelli e dal vicepresidente al Senato, Maurizio Gasparri.

È Rocca a denunciare un trattamento diverso per i morti della destra: «Per anni è stata raccontata in maniera diversa, nessuno ha mai chiesto scusa a questa famiglia, la caccia agli esecutori non è mai stata così attenta come avrebbe dovuto essere».

Il ministro della Cultura fa un passo in più e tira in ballo le responsabilità «comuniste». Stefano Mattei «non ha potuto vivere la sua vita per effetto di un atto di violenza comunista, diamo i contenuti e le parole che bisogna dare. Detto questo abbiamo il dovere di chiudere il Novecento con tutte le sue lacerazioni, dobbiamo arrivare ad una pacificazione nazionale ma conservando la memoria».

Pur invitando alla pacificazione, molti esponenti di maggioranza hanno sottolineato il fatto che gli autori del gesto non scontarono neanche un giorno di prigione: «Per Virgilio e Stefano si chiedeva giustizia e non vendetta ma gli assassini, purtroppo, ancora oggi non hanno mai pagato per quello che è stato uno dei più efferati e drammatici delitti politici degli anni Settanta» ha scritto in una nota il presidente del Senato Ignazio La Russa.

Ancora più netto il presidente della commissione Cultura Federico Mollicone.

«Giustizia per i fratelli Mattei ancora non è stata raggiunta. Nessuno ha mai pagato e nonostante i numerosi tentativi di riapertura del caso non si è mai arrivati ad una condanna che potesse rendere giustizia alla memoria dei due giovani scomparsi» ha scritto in una nota. «Ricordiamo con vergogna la lettera di solidarietà di Franca Rame ad Achille Lollo, uno dei componenti del commando di Potere operaio. Così come il tentativo di depistaggio con la campagna stampa di quei giorni».

Un modo peculiare di incoraggiare alla pacificazione, per cui Mollicone propone la creazione di un nuovo museo.

«È arrivato il momento di istituire un museo per le vittime del terrorismo e delle stragi nel quale raccontare la guerra civile interna tra destra e sinistra, e il dopoguerra italiano».

La richiesta di potenziare l’istruzione sulle questioni storiche identitarie della destra sembra ricalcare quella presentata qualche mese fa, a ridosso della Giornata del ricordo, l’occasione che commemora gli eccidi nelle Foibe.

Anche in quel caso, un gruppo di parlamentari di destra aveva presentato una proposta di legge per incentivare e finanziare i “viaggi del ricordo” che potessero avvicinare quel capitolo di storia agli studenti con trasferte sui luoghi di questa tragedia.

Sulla stessa linea il capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti secondo cui i responsabili «per decenni hanno goduto della protezione e dell’appoggio di una certa sinistra. Condannati a 18 anni di carcere (e non all’ergastolo perché non fu riconosciuta la volontà di uccidere) non scontarono praticamente nemmeno un giorno di galera perché fuggirono all’estero».

Sulla ricorrenza è intervento anche il ministro per le Imprese Adolfo Urso. Il suo dicastero per l’occasione ha emesso un francobollo dedicato ai fratelli Mattei: secondo il ministro vi fu una «campagna propagandistica che ottenne grande riscontro tra le autorità morali e intellettuali a coprire gli assassini che si conoscevano» e «a scaricare su altri la colpa».

Tutto questo, ha detto ancora, per «coprire i responsabili per farli fuggire all’estero, con connivenze che durano per decenni». Anche secondo lui, «vi è tutta quella necessità di ricostruire una memoria italiana». Chissà che spazio è riservato al 25 aprile.

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