La randellata che il video di Grillo ha quasi tramortito i Cinque stelle non ha interrotto il percorso dell’alleanza dei dem con i M5S, ma dipende anche dall’esito «del processo di transizione che Conte si è incaricato di guidare». Parla l’ex ministro del Sud del Conte due, che oggi è uno dei due vice di Letta: «Il Pd deve essere il partito del lavoro, ce lo hanno chiesto gli iscritti».

Vicesegretario Provenzano, c’è stato davvero un cambio di passo dal governo Conte al governo Draghi?

Ogni governo deve dare il meglio di sé nelle condizioni date. Si tratta di formule politiche non paragonabili. E i confronti servono solo a alimentare polemiche. Ma è innegabile una certa continuità, dall’Europa alla gestione della pandemia, agli stessi interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. C’erano limiti prima e ce ne sono adesso. Il nostro impegno ieri come oggi è provare a migliorare. Le grida quotidiane di Salvini invece non aiutavano prima e ora rischiano di fare danni.

Le riaperture sono un cedimento alla Lega?

Draghi ha parlato di rischio calcolato. Speriamo sia calcolato bene. Se avesse vinto la linea Salvini ci troveremmo di fronte a un rischio incalcolabile.

Ma il governo Draghi è il vostro governo?

Tutti i governi che sosteniamo sono nostri governi. E in una fase così drammatica stare sia all’opposizione che al governo come ha fatto ieri la Lega sul coprifuoco nel consiglio dei ministri è sbagliato, irresponsabile e immorale.

Ieri la Lega ha strappato. Eppure anche nel Pd c’è chi dice che Conte cadde per “interessi nazionali e internazionali”.

Conte è caduto per l’irresponsabilità di Renzi. Che non godesse della simpatia di alcuni gruppi editoriali o che alcuni interessi economici si ritenevano meglio tutelati da un nuovo governo, non è un mistero. È legittimo. Non sopravvaluterei la forza dei cosiddetti poteri forti, anche perché in Italia per far cadere un governo basta un partito debole e un leader debolissimo. Secondo i sondaggi, intendo.

Il Pd ha letto il Pnrr?

C’è stato un incontro coi partiti, lo abbiamo fortemente voluto. Il Pnrr deve uscire dal cono d’ombra in cui è finito. Mancano pochi giorni alla presentazione del testo. Lo valuteremo con attenzione in vista del passaggio parlamentare. Abbiamo avanzato le nostre proposte: che i nuovi progetti, in particolare quelli dei ministri Colao e Cingolani non vadano a scapito degli investimenti nelle infrastrutture sociali, degli asili nido, delle scuole a tempo pieno, nella non autosufficienza. E che gli interventi siano vincolati a un disegno di politica industriale. Siamo alla vigilia di grandi cambiamenti tecnologici, penso all’automotive. C’è grande preoccupazione per le scelte di Stellantis, non sugli stabilimenti perché con la garanzia pubblica sul megaprestito investimenti e occupazione devono essere salvaguardati, ma sulla filiera della componentistica, delle forniture. Dobbiamo capire come agevoliamo la transizione verso l’elettrico, il futuro non è solo in Francia e negli Usa.

Metterete delle condizioni?

Non possiamo permetterci una ripresa senza occupazione, buona occupazione. Abbiamo proposto un meccanismo che vincoli l’accesso ai benefici del Recovery agli incrementi occupazionali su giovani e donne. Del resto siamo il partito del lavoro, ce lo chiedono i circoli che nelle consultazioni di queste settimane lo hanno messo in cima alle priorità. Il lavoro, in tutte le sue forme.

Gli effetti delle riforme future non sono inclusi nel Def. E se non si faranno, vista la natura della maggioranza?

Le riforme in alcuni casi sono la condizione della riuscita del Pnrr, a partire dalla pubblica amministrazione. Le divergenze non devono immobilizzare il governo. Anzi Enrico Letta ha fatto la proposta di un grande accordo sul modello del 1993, nell’era Ciampi. Ma con contenuti per certi versi di segno opposto: in quel caso bisognava contenere l’inflazione, oggi serve consolidare la svolta in Europa per fare riforme che creino lavoro buono e allarghino diritti e tutele. Biden ha appena presentato un “piano del lavoro” di due trilioni di dollari, questa è la strada.

Quali riforme potrebbero rendere sostenibile il debito che stiamo accumulando?

Il debito che si è accumulato durante la pandemia e che Draghi per primo ha definito debito buono andrà trattato con un approccio completamente diverso rispetto a prima. Non possiamo tornare alle regole arcigne e «stupide» – cito Prodi - del rigore. Ma questo ormai è senso comune. Tutta la credibilità di Draghi sul piano europeo va impegnata proprio per la riscrittura di regole che favoriscano lo sviluppo e il lavoro. C’è un tema specifico dell’Italia che va affrontato nell’unico modo possibile: riavviando lo sviluppo, lavorando sull’efficienza della macchina pubblica a partire dalla giustizia, contrastando l’evasione fiscale.

A agosto parte il semestre bianco. Si faranno davvero queste riforme?

È responsabilità di tutti che il semestre bianco non diventi un pantano. Noi vogliamo evitarlo, a partire dalla riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche sul lavoro su cui è impegnato il ministro Orlando.

Il governo investe 50 miliardi per opere che la Commissione non finanza. Sarà il fondo-sprechi? Quello del ponte sullo Stretto?

È bene che si faccia chiarezza al più presto. Abbiamo chiesto una programmazione coerente con le missioni europee di investimento per evitare che ci finiscano gli sprechi. Non possiamo permetterci di finanziare investimenti che alcune grandi aziende farebbero comunque. Né ci accontentiamo di scavare una buca e riempirla, lo dico nell’anniversario della morte di Keynes. Dobbiamo rafforzare asili, case della salute, trasferimenti tecnologici, tutto quello che serve a uno sviluppo più forte e sostenibile. Il ponte sullo Stretto è l’eterna idea di chi non ha idee sul Mezzogiorno. C’è una commissione al Mit. Senza ideologismi, ne aspettiamo l’esito. È sul resto che non si può aspettare.

I sindacati chiedono il rinvio dello stop ai licenziamenti. Il Pd li sosterrà?

Discutiamo di come assumere, non di come licenziare. La preoccupazione dei sindacati è comprensibile, alla luce del prolungarsi dell’emergenza. Dobbiamo però distinguere fra settori e realtà che hanno sofferto la crisi e altre che non ne hanno risentito. Rispetto all’accordo raggiunto nel precedente decreto si possono fare passi avanti. Nessuna ricostruzione si può fondare sull’angoscia di perdere il lavoro.

Renzi lavora alla nuova immagine dell’Arabia Saudita. Tutto legale, quindi legittimo?

No, c’è un tema enorme di opportunità e il paragone con gli ex premier che hanno abbandonato la politica attiva è un insulto all’intelligenza. Se il Senato adottasse il codice di condotta del parlamento europeo o della Camera, Renzi non potrebbe fare quello che fa. Anche perché il rapporto con il suo “amico” saudita non è sporadico, legato a una conferenza. Quello che c’era da dire sul regime l’ha detto Biden nel dossier sull’omicidio di Khashoggi. Certo, uno gli amici se li sceglie. Ma tutto questo pone un tema di inaffidabilità personale che si somma alla conclamata inaffidabilità politica.

Anche nel Pd ci sono casi di porte girevoli, da Padoan a Minniti. Va tutto bene?

No, non va bene. Sono vicende diverse ma, comunque, discutibili e che non fanno bene al Pd. Dobbiamo impegnarci su una legge che regoli conflitti di interessi, porte girevoli fra ruoli pubblici e privati e attività lobbistica.

Gianni Cuperlo su Domani chiede di eliminare le primarie per la scelta del segretario Pd.

Abbiamo appena scelto un buon segretario senza primarie. Segno che sbaglia chi dice che le primarie sono l’identità del Pd. Ma il punto è che non abbiamo mai svolto una discussione vera sulla nostra identità. E la partecipazione non può esaurirsi in una gazebata, ma dobbiamo restituire potere agli iscritti. Ed è quello che abbiamo iniziato a fare, e che faremo con le agorà democratiche.

Ma le agorà con i non iscritti non sono il contrario di ridare il potere agli iscritti?

Gli iscritti devono essere protagonisti del percorso, per rafforzare forme e ragioni nuove di appartenenza. Ci sono intere aree in cui non ci siamo, c’è molto di buono che c’è fuori da noi. Nella consultazione emerge la consapevolezza che da soli non bastiamo. Più di quella di alcuni dirigenti.

Grillo è un padre dell’alleanza con M5s. E dopo il video? Basta la timida reazione di Conte?

Grillo ha usato parole inaccettabili, l’abbiamo condannato. L’alleanza dipenderà dal processo di transizione che Conte si è incaricato di guidare.

E se Conte fallisse la scalata al M5s, fallirebbe anche il nuovo Pd, basato su quell’alleanza?

Il Pd deve prima guardare a sé, rigenerarsi. L’idea che ci siano campi da delegare ad altri perché la sinistra ha rotto con le periferie sociali e geografiche è sbagliata. Ma non ci chiuderemo in un autoisolamento. Le alleanze sono necessarie per mettere in campo uno schieramento alternativo e vincente alla destra di Salvini e Meloni.

Ma alle comunali le alleanze non stanno arrivando.

A Napoli c’è un percorso importante. Ma mettiamo le cose in ordine: prima vengono i programmi, poi le alleanze, poi le candidature, le più forti possibili.

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