Ad aprile, il comitato Colao veniva presentato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte come un gruppo di esperti chiamato al compito più ambizioso: «Ripensare i radicati modelli organizzativi sociali e di vita economica» per la ripartenza del paese. Palazzo Chigi faceva vanto della collaborazione con l’ex amministratore delegato di Vodafone Vittorio Colao, «uno dei nostri manager stimati anche all’estero» e delle personalità con le quali avrebbe lavorato, fra cui molti «ingegni prestati all’estero».

Due mesi dopo, agli Stati generali di giugno, le 121 pagine e 102 schede del piano Colao venivano già ridimensionate dal premier Conte a «un contributo importante per il confronto di questi giorni ai fini dell’elaborazione del piano di governo». Un contributo, fra gli altri. Arrivati a novembre, se si chiede a chi lavora nei ministeri che fine abbia fatto il piano Colao, l’impressione è quella di aver tirato fuori un tema démodé che non interessa più a nessuno.

I tempi

Vittorio Colao in realtà non ha mai espresso un bilancio negativo sull’accoglienza riservata al lavoro della sua task force. «Le cose più importanti da fare nel breve periodo sono state più o meno fatte – ha detto a fine ottobre al Festival dell’ottimismo del Foglio – le iniziative per la liquidità delle imprese, per il settore turistico, per il sostegno al lavoro, la semplificazione di alcune procedure amministrative».

Le misure dei ventidue esperti coordinati da Colao, del resto, erano divise anche in base all’orizzonte temporale: gli interventi «chiaramente finanziabili» da attuare subito, i progetti più articolati «da finalizzare» sul medio-lungo termine e infine i piani più complessi «da strutturare», perché più gravosi per le finanze pubbliche.

Almeno le prime, le più semplici, non sarebbero rimaste lettera morta. «Una serie di proposte sono state inserite nei decreti di quest'estate, penso in particolare al decreto Semplificazioni, alle iniziative per la mobilità sostenibile – spiega Enrico Giovannini, ex presidente dell’Istat e oggi portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, fra i membri del comitato Colao – altre mi sembra di riconoscerle nella legge di Bilancio, ad esempio gli interventi contro le disuguaglianze di genere».

A scorrere le 102 schede di lavoro del documento finale “Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022”, è vero che si ritrovano alcuni provvedimenti degli ultimi mesi. C’è la deroga al decreto Dignità sui contratti a termine, prevista fino al 31 dicembre. Ci sono le norme sul silenzio-assenso e la spinta all’utilizzo dei servizi digitali nella pubblica amministrazione. Oppure ancora, il rinvio delle imposte e l’esclusione della responsabilità penale del datore di lavoro per i casi di Covid fra dipendenti. Alcune di queste misure però erano state già avviate dall’esecutivo. E se davvero sono state ispirate dal piano Colao, non si può dire che l’attribuzione sia stata esplicita.

«Il lavoro del comitato Colao ha attivato delle riflessioni utili e i percorsi si sono intrecciati, come succede in questi casi», dice il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta. In ogni caso, assicura il sottosegretario, il piano «serve alla presidenza del Consiglio come traccia per lavorare al Recovery fund».

Operazione rilancio

E in effetti in principio si pensava che fosse questo il destino della task force, orientare l’utilizzo dei fondi del Next Generation Ue. Finché le 102 del comitato, consegnate a palazzo Chigi l’8 giugno, non sono state messe in ombra dagli Stati generali – titolo ufficiale “Progettiamo il Rilancio” – voluti dal presidente del Consiglio Conte.

Dal 13 al 21 giugno, il premier ha incontrato a Villa Pamphilj i rappresentanti delle istituzioni e delle parti sociali per un confronto sui progetti per la ripartenza del paese. Nella folla degli invitati c’era anche Vittorio Colao, in agenda lunedì 15 giugno dalle 9.10 alle 10, cinquanta minuti prima di lasciare il posto all’ospite successivo, la Cgil. Conte ha ringraziato Colao e ha circoscritto i confini sull’utilizzo delle proposte del comitato: «Un’ottima base per consentire il lavoro sul piano di rilancio».

Il 15 settembre il governo ha presentato le linee guida per il Piano di ripresa e resilienza con il quale si dovrà definire l’utilizzo dei fondi del Next Generation Eu. All’interno vi si riconosce una piccola parte anche al comitato Colao. Per scrivere «il piano di rilancio», si legge nel testo, il governo «si è avvalso del contributo del Comitato di esperti in materia economica e sociale coordinato da Vittorio Colao». Un contributo, di nuovo, fra i tanti.

«Le linee guida che il governo ha preparato a settembre evidenziano molti aspetti che sono perfettamente in linea con il piano Colao: la digitalizzazione, la transizione ecologica e l’obiettivo di rendere l’economia italiana più forte e più resiliente», rivendica Enrico Giovannini. I tre pilastri rispecchiano del resto un’impostazione quasi obbligata segnata dalle indicazioni europee.

Cosa manca

C’è però una differenza. «Con grande fatica eravamo riuscite a inserire piano Colao la parità di genere come terzo asse portante», dice Elisabetta Camussi, professoressa di Psicologia sociale, che ha partecipato alla task force. «Questo aspetto non mi sembra passato con la stessa forza nelle linee guida del governo: la parità di genere non può essere inerente a un singolo progetto ma dev’essere una coordinata di sistema».

Sarà la versione definitiva del Piano di ripresa e resilienza a dire quanto del lavoro dei ventuno esperti diretti da Vittorio Colao sia finito nella progettazione del governo. Per ora se ne conosce solo l’impianto e qualche titolo, dal rafforzamento di industria 4.0 al fondo competenze per la formazione dei lavoratori.

Il ministro agli Affari europei Enzo Amendola, incaricato di coordinare il lavoro del Comitato interministeriale degli affari europei sul piano, ha però garantito in un’intervista al Corriere della Sera che non ci saranno ritardi: un aggiornamento del Recovery plan italiano verrà presentato a fine mese e la versione definitiva arriverà a Bruxelles all’inizio dell’anno prossimo. I primi di febbraio, ha specificato Conte, lunedì a Otto e mezzo.

Intanto, al lavoro sulla bozza ci sarebbe un’altra task force, questa volta ufficiosa. Funzionari, tecnici, manager pubblici. Chiamati a riordinare il groviglio di progetti presentati dai ministeri e incastrarli in un programma di investimenti coerenti per il futuro del paese.

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