L’imposizione di misure a tutela dell’ambiente, finalizzate a incentivare la sostenibilità e l’economia circolare, possono comportare dei costi, più o meno palesi, per coloro i quali siano obbligati ad attuarle. Si tratta di costi giustificati dai vantaggi che tali misure recano all’intera collettività. Ma chi deve sostenerli è difficile che li accetti di buon grado, come dimostrano certe critiche al regolamento europeo sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio (PPWR).

Una premessa. La normativa precedente aveva fallito nel tentativo di disciplinare in modo omogeneo la materia anche perché, trattandosi di una direttiva (94/62/EC), ha avuto trasposizioni non armonizzate negli ordinamenti nazionali. Ciò ha indotto la Commissione ad adottare una nuova e più stringente normativa sotto forma di un regolamento. Questo strumento, essendo direttamente applicabile a tutti gli Stati Membri, elimina i disallineamenti normativi che creano aggravi economici per chi opera nel mercato dell’Unione.

Il regolamento Ue

Il PPWR introduce nuovi requisiti per tutte le tipologie di imballaggio (da quelli per il trasporto a quelli ad uso alimentare), ridefinendo completamente sia le caratteristiche di produzione che le modalità di utilizzo.

Il fine è la riduzione degli imballaggi - del 5% entro il 2030, del 10% entro il 2035 e del 15% entro il 2040 - in particolare di quelli in plastica. A partire dal 2030, andranno eliminati gli imballaggi monouso per i cibi e le bevande consumati in bar e ristoranti; la plastica monouso attorno a frutta e verdura fresche se non trasformate; le monoporzioni, ad esempio, di condimenti, conserve, salse, panna da caffè e zucchero. Fa eccezione l'insalata lavata e tagliata pronta in busta e il take away, cui la normativa non si applica. Ai paesi è inoltre richiesto, a partire dal 2029, di garantire la raccolta di almeno il 90% delle bottiglie e lattine di plastica monouso. La strada per conseguire tale obiettivo è quella dei sistemi di deposito cauzionale: il consumatore paga una piccola cauzione aggiuntiva al prezzo della bottiglia o lattina, che viene completamente rimborsata al momento della restituzione dell’imballaggio vuoto.

Per limitare gli sprechi, è stata stabilita una proporzione massima di spazio vuoto del 50% che si applicherà agli imballaggi multipli e a quelli per il trasporto e per il commercio elettronico. In altre parole, la merce dovrà occupare almeno il 50% di spazio. Fabbricanti e importatori dovranno, inoltre, garantire che il peso e il volume degli imballaggi siano ridotti al minimo.

Sono, inoltre, previsti obiettivi di riutilizzo specifici da raggiungere entro il 2030 - salvo deroghe, a determinate condizioni - per imballaggi di bevande alcoliche e analcoliche (ad eccezione, tra gli altri, di latte, vino, anche aromatizzato, e superalcolici), imballaggi multipli e imballaggi per la vendita e per il trasporto. Sempre a partire dal 2030, ristoranti, pizzerie, fast-food e distributori finali di bevande e alimenti da asporto dovranno dare ai consumatori la possibilità di utilizzare i loro contenitori; inoltre, è previsto che si “impegnino” – obiettivo non vincolante - a offrire il 10% di tali prodotti in un formato di imballaggio riutilizzabile.

I costi

È palese che le misure indicate comportino costi di implementazione a carico dei soggetti interessati, in particolare operatori della ristorazione, del vending, dell'intrattenimento e del turismo, e di molti altri comparti strettamente interconnessi.

Confcommercio sottolinea, ad esempio, gli oneri economici che graveranno sugli operatori HORECA (Hotellerie–Restaurant-Cafè) con una superficie superiore a 100mq a causa dell’obbligo di ritirare gratuitamente tutti gli imballaggi riutilizzabili e gestire la restituzione nei depositi. Per Confcommercio, altri costi rilevanti derivano sia dall’introduzione di target stringenti sul riuso sia dall’imposizione di divieti e restrizioni per numerose tipologie di imballaggio monouso.

I benefici

Dunque, aziende di alimentari e bevande, anche di distribuzione online, ristoranti e soggetti similari dovranno adeguare i propri sistemi. Nonostante il regolamento sugli imballaggi rappresenti un elemento essenziale del Green Deal europeo, ambizioso piano della Commissione Ue, gli obiettivi iniziali che esso avrebbe dovuto perseguire sono stati fortemente ridimensionati nel corso dell’iter di approvazione, al fine di contenere gli oneri gravanti sulle imprese interessate. Ciò a causa delle forti pressioni esercitate da parte dell’industria durante lo svolgimento del negoziato.

Ma, a tale riguardo, serve qualche considerazione ulteriore. Come evidenziato da alcuni studi, gli imballaggi monouso paiono agli operatori del settore più economici rispetto agli imballaggi per il riutilizzo, previsti dal nuovo regolamento, solo perché tali operatori non considerano costi nascosti – ad esempio, quelli legati alla pulizia dai rifiuti abbandonati e all’impatto sulle emissioni di carbonio – che sono sostenuti dall’intera collettività. Secondo tali studi, le spese connesse agli imballaggi monouso sono più elevate di quelle che i venditori dovranno sostenere con il nuovo regolamento. Ciò si traduce in maggiori benefici per la società nel suo complesso.

Qual è il rischio? È che l’aumento delle spese per imballaggi e confezioni alternative alla plastica finirà per essere riversato dagli operatori del settore sui consumatori finali, attraverso un incremento dei prezzi. Peccato si tratti di un meccanismo di cui il legislatore non tiene mai conto come servirebbe.

 

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