Recuperando quel che Piero Gobetti scrisse del fascismo: “autobiografia della nazione”, credo sia giusto considerare Silvio Berlusconi parte integrale, nei vizi e negli effetti, della autobiografia dell’Italia. Però, c’è qualcosa di più, rinvenibile nei commenti alla sua morte sul suo ruolo, più in politica che negli affari, anche se spesso la linea divisoria fra i due è pallida e continuamente attraversata.

Nei sistemi politici che apprezzo e fra i commentatori politici che sanno essere imparziali senza cedere a una presunta neutralità, la domanda sarebbe (anzi, sicuramente sarà): la politica di Berlusconi dal 1994 al 2023 ha migliorato l’Italia? E se sì sotto quali rispetti e con quali misure? Molti libri, alcuni di notevole qualità (quelli di Giuseppe Fiori e di James Newell), hanno analizzato la parabola di Berlusconi giungendo a valutazioni negative.

La libertà tanto vantata da Berlusconi consisteva quasi esclusivamente nell’assenza di regole, comunque, nell’evitare i controlli. Lo Stato, poiché l’Italia non è solo una emozione, è fatto da cittadini che, anche se non si identificano pienamente nella Costituzione, sanno che la loro vita si svolge in quei confini e che deve tenere conto delle relazioni con gli altri cittadini e con lo stesso Stato. Al grido di no taxation without representation i coloni americani diedero il via alla guerra che li liberò dal dominio della Gran Bretagna. Da allora, il good citizen è colui che paga le tasse e i cui rappresentanti eletti decidono quante tasse e come.

Non è necessariamente bello pagare le tasse, ma è il segnale di un convivenza politica che consente allo Stato di provvedere a esigenze collettive che nessun privato vorrebbe e saprebbe soddisfare. Non riesco a capire come una persona condannata per frode fiscale, appunto ai danni dello Stato, possa essere onorata con funerali di Stato. Nell’autobiografia di questa nazione stanno certamente i molti, troppi evasori fiscali. Altrove, invece, la grandezza delle personalità politiche si misura con il loro rispetto delle regole, con la loro consapevolezza che il privilegio di guidare una nazione si accompagna alla necessità assoluta di liberarsi dei propri interessi economici (e familiari) per perseguire il bene pubblico.

Anche il familismo e la commistione privato/pubblico occupano un posto notevole nella autobiografia della nazione. Oggi non conta tanto, anche se è importante, sapere quale sarà il futuro di Forza Italia, partito personalista inevitabilmente senza “delfino”, ma quanto i cambiamenti in senso lato culturali che Silvio Berlusconi, il suo modo di fare politica, le sue televisioni, i suoi collaboratori hanno inscritto nella storia d’Italia. Troppi e, understatement, non positivi.

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