A Virginia Raggi restano solo gli attivisti Cinque stelle. Il voto di giovedì, che le ha garantito un posto nel Comitato di garanzia insieme a Roberto Fico e Luigi Di Maio, ha certificato l’immenso consenso che ancora raccoglie tra chi scende per strada per il Movimento, fa i banchetti e commenta convinto sui social network. Anzi, il maggior consenso possibile: Raggi ha preso quasi il doppio dei voti di Di Maio e circa 10mila voti in più di Fico, raccogliendone poco più di 22mila tra gli appena 30mila votanti. Certo, il voto è stato drogato dall’obbligo della preferenza di genere: le concorrenti di Raggi erano Tiziana Beghin, capogruppo all’europarlamento, e Carla Ruocco, che negli ultimi anni ha perso parecchi consensi e non è più popolare come alle origini del Movimento. Nonostante ciò, il voto rilancia Raggi come una delle figure più forti del M5s. Peccato che i sondaggi rilevano un’altra verità a livello nazionale, dove la sindaca fa più male che bene all’immagine del partito.

Raggi, finché non ha annunciato la scorsa estate la sua candidatura sponsorizzata dal fondatore Beppe Grillo, cogliendo di sorpresa tutto il partito, camminava su un sentiero strettissimo. Costantemente sotto attacco per i guai romani, il partito aveva deciso addirittura in un primo momento di commissariarla. Nel 2020 il suo destino sembrava segnato: i maggiorenti avrebbero potuto liberarsi di lei agevolmente facendo appello al limite dei due mandati. Raggi è stata eletta una volta come consigliera e la seconda da sindaca, sulla carta la sua esperienza come amministratice doveva chiudersi a ottobre. E invece la sindaca, approfittando del lungo momento di stallo che ha attraversato il Movimento nel biennio pandemico, ha anticipato tutti emancipandosi dalla regola del Movimento e proponendosi come candidata senza passare prima dai vertici del Movimento.

I rapporti coi maggiorenti avevano iniziato a incrinarsi quando Raggi era stata affiancata da un direttorio, formato da Roberta Lombardi, Fabio Massimo Castaldo, Gianluca Perilli e Paola Taverna all’inizio del suo mandato, poi sciolto per l’elevatissimo numero di contrasti che si era venuto a creare con la sindaca. Oggi, il fatto che l’autocandidatura della sindaca sia fiorita in una vera campagna elettorale invece di rimanere il capriccio di un’amministratrice ribelle lo si deve per lo più all’avallo di Di Maio: nel periodo dell’ufficializzazione della corsa, Giuseppe Conte si stava accreditando come leader del Movimento e i negoziati col Pd lo avevano portato a un passo dal sostenere la candidatura di coalizione di Nicola Zingaretti al Campidoglio. Un successo che avrebbe cementato troppo l’intesa con Enrico Letta e regalato consensi facili a Conte. Di qui la scelta di fargli lo sgambetto con l’uscita di Raggi prima dell’annuncio di un possibile accordo. 

Di fronte all’annuncio della sindaca uscente il partito che per cinque anni l’ha difesa a spada tratta non ha potuto tirarsi indietro: in queste ultime settimane di campagna elettorale Conte ha partecipato finora a due eventi con Raggi. Un impegno marginale che ha controbilanciato annunciando aspettative ridotte per la prossima tornata di amministrative, quasi nel tentativo di salvare il salvabile, ma certo non il certificato di una fiducia incrollabile. 

«Se davvero ci puntasse farebbe qualche evento in più con lei», dice un deputato al secondo mandato. E invece, anche i big si sono tenuti ben lontani dalla campagna elettorale di Raggi. Unica eccezione: l’appuntamento a Torre Angela di questa settimana, dove oltre a Conte si sono scomodati anche Luigi Di Maio e Paola Taverna. Lo spin è quello di una piazza strapiena, tanto che è stato necessario cambiare indirizzo a poche ore dell’appuntamento, ma la questione vera è che Raggi sta cercando di replicare il 2016: il Movimento punta tantissimo sulle periferie che avevano regalato il suo primo mandato alla sindaca, tanto che lo slogan che gira nello staff della sindaca quando si gira per i quartieri più lontani dal centro è «qui facciamo il botto». 

La speranza di un nuovo 2016, quando Raggi poteva puntare sui fallimenti dei suoi predecessori e ripeteva ossessivamente che il vento era cambiato, resta viva. E per ricreare quel clima, oltre a girare per periferie lo staff ha anche rilanciato lo stesso slogan di allora, #coRaggio. Adesso la sindaca uscente non può più accusare chi è venuto prima di lei ma chiede ai romani fiducia per portare a termine quel che ha iniziato: per convincere chi «ancora non la conoscesse», è sceso in campo anche il marito della sindaca, Andrea Severini, da sempre militante Cinque stelle, con la pagina Facebook 31 Giorni con Virginia. Severini tiene un diario in cui giorno per giorno racconta la campagna elettorale e dà spunti da insider sulla sindaca, informando l’elettorato per esempio della sua tecnica per mangiare la pizza o di come canta al figlio Roma non fa’ la stupida stasera.

Un’operazione simpatia che fa il paio con la strategia di puntare sulla nostalgia dei militanti. Raggi per gli attivisti del Movimento è un’eroina, la donna esile ma decisa che si scaglia contro i poteri occulti di Roma: anche nei discorsi di Conte, uno dei pochi cavalli di battaglia che ricorre sempre è quello dell’abbattimento delle otto villette dei Casamonica. L’immagine di amministratrice che vigila sui cittadini e li difende dalle ingiustizie attira anche le simpatie di chi del Movimento non fa neanche più parte, come Alessandro Di Battista, molto più disponibile di altri big a fare campagna con lei. Pur essendo ormai al governo da cinque anni, «Raggi ricorda il periodo in cui il Movimento era una forza anti-establishment, conquistando così anche quell’ala degli attivisti che non si riconosce più in quella che è diventata una forza di governo», dice Roberto D’Alimonte, professore alla Luiss.

Una volta archiviata la questione amministrative, però il Movimento dovrà valutare quale possa essere il nuovo ruolo di Raggi. Perché, secondo tutte le rilevazioni, la sindaca vive un paradosso: è amata soprattutto dai militanti che vivono fuori da Roma, ma se si allarga lo sguardo ai sondaggi nazionali, Raggi è un elemento marginale se non negativo per il M5s. «Nei sondaggi, la sindaca raccoglie ancora più consensi del Movimento a Roma: nel M5s è una figura storica che ha portato a casa un obiettivo totalmente inaspettato, ma resta un fenomeno romano dei Cinque stelle», dice ancora D’Alimonte. È d’accordo Lorenzo Pregliasco di YouTrend, che individua come cambiamento di fondo la perdita della capacità del Movimento di rivolgersi all’elettorato oltre il proprio elettorato di riferimento. Insomma, «ormai le capacità di andare oltre quel gruppo di elettori sono ridotte» e a recuperare questo slancio non è riuscito Conte, che non riesce a portare il M5s oltre il 16 per cento, figurarsi Raggi, che polarizza troppo i consensi per coinvolgere chi è più lontano dal Movimento, anzi, lo allontana.

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