Un referendum su Roma Capitale. Per spingere il parlamento a una riforma che dia alla città «più poteri legislativi e di programmazione, unico modo per dare ai municipi piena dignità comunale, superare il concetto di decentramento per quello di federalismo metropolitano». La proposta di un quesito consultivo comunale è di Roberto Morassut, sottosegretario all’ambiente, dem di peso di Roma, già assessore nella giunta Veltroni, eterno innamorato della città e anche eterno papabile candidato sindaco (lui stavolta nega qualsiasi intenzione). L’idea è arrivata domenica dalle pagine del Messaggero. Ma dal Campidoglio tutto tace. Ora il sottosegretario la rilancia: «In questi giorni stiamo assistendo a una fuga dal Campidoglio. Nessuno vuole fare il sindaco. E si capisce: mancano gli strumenti legislativi per il rilancio della città. Serve una riforma costituzionale per Roma, Milano e Napoli, le nostre tre grandi capitali internazionali, sul modello tedesco che ha dato a Berlino, Amburgo e Francoforte il rango di lander». Il referendum convince Monica Cirinnà, altra ‘papabile’ dem, ma non Riccardo Magi, deputato di +Europa ed ex consigliere comunale radicale. «Non possono decidere solo i romani su una questione che riguarda tutto il paese. Ma il problema c’è: non si può aver paura del sentimento anti-Roma di una parte della classe dirigente del paese. Ma senza strumenti di finanziamento e autonomia legislativa, la campagna elettorale è uno scontro solo recitato. Chiunque vinca di fatto non può governare». Ma la sventurata sindaca continua a non rispondere.

La sindaca non risponde

Un silenzio strano, all’apparenza. Anche perché lo scorso 3 settembre la sindaca grillina Virginia Raggi, ad ora unica candidata ufficiale alla corsa per il Campidoglio, intervistata su La7 ha usato parole pesanti proprio sul tema: «Ho chiesto a tutti i governi con cui mi sono interfacciata - Renzi, Gentiloni, Conte - i poteri speciali per Roma Capitale, ci sono ancora tre anni di legislatura, si può fare». Eppure delle sue richieste pressanti non si conserva memoria. Anzi: da due anni è nato un Osservatorio parlamentare su Roma Capitale, riunisce una quarantina di personalità esperte, interessate o elette dai collegi della Capitale: fra gli altri Morassut e Magi, i dem Patrizia Prestipino e Walter Tocci, i Fratelli d’Italia Fabio Rampelli e Federico Mollicone; Stefano Fassina, Loredana De Petris e Rossella Muroni di Leu, la forzista ex presidente del Lazio Renata Polverini. E il leghista Claudio Durigon, papabile candidato alla regione quindi interessato a partecipare alla discussione nonostante lo scetticismo – è un eufemismo – dei suoi colleghi. L’osservatorio ha organizzato un incontro a Roma il 2 dicembre 2019. Molti gli invitati, dalle parti sociali fino ai tre rettori delle tre università romane.E naturalmente la sindaca. Che però non è andata. Tanto che il presidente della Regione Nicola Zingaretti ha preferito inviare un assessore per evitare uno sgradevole squilibrio nella rappresentanza istituzionale. Nei mesi precedenti l’Osservatorio aveva chiesto un incontro alla sindaca attraverso il canale formale ma anche contatti ufficiosi. Ma anche stavolta nessuna risposta. Poi si è rivolto al presidente del consiglio Giuseppe Conte. Che in un primo momento ha fatto sapere di essere disponibile. Poi nulla. C’è chi racconta di un veto della sindaca, spalleggiata dal ministro Luigi Di Maio. Perché «una legge per Roma Capitale» deve essere uno degli asset della campagna elettorale di Raggi. Da non condividere con nessun altro. Con il rischio che alla fine si arrivi a un nulla di fatto.

Roma non si celebra

Arriviamo a questi giorni. Il 20 settembre è stato il 150esimo anniversario della Breccia di Porta Pia, la presa di Roma da parte dell’esercito italiano. Ma è scivolato via in tono minore. Il Covid ha fornito un’ineccepibile scusa al governo per evitare celebrazioni solenni. Eppure è una data importante non solo per chi festeggia il lutto di Pio IX e la sacrosanta laicità dello stato ma perché segna un passo cruciale dell’unità del paese. La città è annessa al Regno, l'anno successivo diventerà capitale. Fino alla firma dei Patti lateranensi (1930) da parte di Mussolini, il 20 settembre resta festa nazionale. Dallo scorso luglio l’Osservatorio ha depositato una mozione che chiede che l'anno della proclamazione di Roma Capitale «sia adeguatamente commemorato e celebrato attraverso iniziative ufficiali», dibattiti, mostre, convegni nelle scuole, «volti a valorizzare il suo ruolo di Capitale e a promuovere lo sviluppo futuro della città»; a realizzare «un programma straordinario per la riduzione dell'inquinamento fossile» e «iniziative per finanziare un programma di opere pubbliche e di riqualificazione del tessuto urbano». Il primo anniversario è passato e la mozione è rimasta nel cassetto. C’è da sperare che il buongiorno non si veda dal mattino.

Eppur Conte non si muove

«Da mesi cerchiamo di calendarizzare questa discussione ma nessuno risponde», lamenta Fassina, che è anche consigliere comunale di Roma, «né dal governo né dal Campidoglio. Raggi non ha consapevolezza della funzione potenziale della Capitale. Invece converrebbe anche a lei, oltreché alla città, partecipare a un fronte largo per dare alla Capitale gli strumenti legislativi e le risorse finanziarie che tutte le capitali d’Europa hanno. I Cinque stelle non hanno deciso che fare e nel frattempo non fanno nulla», conclude, «serve una legge costituzionale, ma intanto subito si può procedere ad applicare lo statuto della Città Metropolitana e agire a livello legislativo». Forza italia rivendica di aver già fatto la legge nel 2009 ma per Morassut quel testo è tutta apparenza: «In quella legge il titolo “Roma Capitale” consentì all’allora sindaco Gianni Alemanno di fregiarsi con un pennacchio. In realtà da quel momento i fondi per Roma finiscono e le leggi previste per l’urbanistica e i trasporti c’erano già». Taglia corto Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e eminenza romana del partito di Giorgia Meloni. E’ scettico sul referendum: «Stimo Morassut, ma in questo modo si provincializzerebbe un dibattito che ha dignità nazionale e non può rischiare di essere derubricato a canea campanilistica. Con gli epiteti Roma ladrona, parassita e fannullona, fino all’epilogo vergognoso del titolo di Mafia capitale dato a un l’inchiesta per corruzione e malaffare, Roma è stata lasciata in stato d’abbandono, priva di strumenti operativi, discarica di problemi sociali ed economici irrisolti altrove, orfana di una visione e di un ordinato supporto della Regione». Rampelli ha già detto no, ma è considerato il candidato “naturale” della destra a Roma. Comunque attacca i giallorossi: «I Cinque stelle esprimono il capo del governo, i due terzi dell’esecutivo e il sindaco di Roma nonché presidente dell’area metropolitana. Il Pd ha i ministri dell'Economia e delle Infrastrutture oltre al governatore del Lazio. Se davvero vogliono, possono fare decreti, leggi, delibere e mettere le risorse necessarie per risollevare Roma dall’abisso». Ma è abisso difficile da evitare senza i «superpoteri».

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