Promuovere il Made in Italy, il valore della genitorialità e il «gusto italico». Il nuovo contratto di servizio Rai, appena appena approdato in commissione Vigilanza Rai, promette già di far discutere. Perché è la trasposizione di tutti i principi più cari alla destra meloniana, che ora vuole vederli applicati nel servizio pubblico. Ma il testo traccia anche il perimetro della nuova narrazione che la destra ha in mente per il servizio pubblico, quella che in bocca al direttore generale Giampaolo Rossi era diventato il «nuovo storytelling». 

Il contratto tra azienda e ministero dell’Impresa è praticamente già approvato: la commissione di Vigilanza deve fornire un parere, ma non è vincolante. Ma la modifica dell’impianto permetterà ai nuovi dirigenti di non avere più linee guida lontane dalla loro sensibilità a cui dover rendere conto: così è scomparso per esempio il riferimento al giornalismo d’inchiesta, che è sopravvissuto soltanto in una nota a verbale fatta inserire dal consigliere di area M5s Alessandro di Majo. Una garanzia esile, che rischia di venire meno alla scadenza del mandato di Roberto Sergio, tra poco meno di un anno, a fronte di un contratto di servizio che resta in vigore per cinque anni. 

Via anche il riferimento all’accoglienza, mentre la parola Costituzione si incontra soltanto nell’allegato, così come la coesione sociale, principio molto caro al Colle. Cade poi il caposaldo dell’accesso aperto a tutte le rappresentanze della popolazione, un principio che garantiva il rispetto del pluralismo sociale, oltre che politico. Tutti elementi in linea con le convinzioni più profonde del nuovo direttore generale, contrario «all’immigrazione di massa costruita a tavolino» e convinto che bisogna «essere padroni a casa nostra». Rossi per il momento si muove nell’ombra, lasciando la scena a Roberto Sergio: è andata così con la vicenda Facci, rischia di andare così con il contratto di servizio, che però rispecchia in molti passaggi le opinioni più sincere del dg, espresse in un passato in cui non era vincolato da incarichi pubblici su un blog del Giornale. 

I princìpi

Nella lista dei principi generali, oltre ad aspettative legittime per un servizio pubblico come «accrescere la qualità dell’informazione secondo criteri di completezza, equilibrio, responsabilità, imparzialità, indipendenza e pluralismo» (un caposaldo che dopo l’episodio di Rainews, dove un pezzo è stato modificato dal direttore, sembra piuttosto controverso), si trovano diversi elementi di sapore sovranista. A partire dalla promozione dei valori culturali e civili dell’Italia, che cancellano la «promozione della valorizzazione dell’istruzione e della formazione professionale» che invece era contenuta nel contratto 2018-2022. Le altre sbianchettature vengono invece sostituite da elementi nuovi, piuttosto lontani dai valori dell’ultimo contratto, come lo sport e la «diffusione di un modello nutrizionale sano quale la dieta mediterranea».

Non può mancare il riferimento alla trasformazione in digital media company, obiettivo storico di Sergio e Rossi. Un chiodo fisso di cui non è chiaro quale siano i vantaggi, considerato che nessun servizio pubblico europeo appartiene alla categoria. Tra le tecnologie da utilizzare anche quelle «emergenti»: è citata anche l’intelligenza artificiale, uno strumento che negli ultimi tempi ha provocato anche problemi collegati con la disinformazione e la riduzione dei posti di lavoro nel mondo del giornalismo, ma che i vertici Rai includono senza problemi nei loro progetti. 

Per farla tornare attrattiva per i giovani Rossi e Sergio vogliono poi una Rai che punti sulla «consapevolezza della ricchezza legata alla genitorialità e alla natalità», valore da trasmettere attraverso «produzioni audiovisive ad hoc» e «contenuti dedicati nell’ambito dei programmi di approfondimento e intrattenimento». Ma la Rai meloniana spera anche di crescere giovani imprenditori di grido: un altro punto fermo è infatti la raccomandazione di «accrescere la cultura dell’imprenditorialità, lo spirito d’iniziativa e di scoperta, narrando storie di giovani imprenditori, innovatori, ricercatori». 

Nel precedente contratto i toni erano ben diversi. Si ambiva infatti a proporre ai ragazzi «valori positivi umani e civili, fondati sul rispetto della dignità della persona» e mettere a disposizione delle nuove generazioni «strumenti innovativi che aiutino a comprendere il valore e i benefici dell’appartenenza alla comunità».

Un intero capitolo è anche dedicato alla promozione del Made in Italy, in modo da offrire «la più vasta possibilità di accesso alle diverse manifestazioni della cultura italiana rappresentando l’Italia, le sue eccellenze e i suoi valori nel territorio nazionale e nel mondo», con contenuti destinati a oriundi e «appassionati di Italia». E poi, contenuti – anche in inglese – «che offrano la rappresentazione delle eccellenze culturali, sociali e valoriali italiane», oltre a «valorizzare la diffusione della lingua italiana nel mondo attraverso il meglio della produzione Rai». Le reti dovranno insistere sui «valori e l’attrattività dell’Italia, il genio e il gusto italici». Più istituto Luce che Rai.

Uno degli ultimi nel contratto è l’articolo 10, dedicato alla parità di genere, in cui si raccomanda «la promozione di un linguaggio che favorisca il superamento di espressioni o manifestazioni sessiste nonché degli stereotipi di genere». Notevole, in un paese in cui la prima premier donna ha deciso di firmarsi con l’incarico al maschile e il presidente del Senato è intervenuto sulla ragazza (presunta) vittima di uno stupro perpetrato da suo figlio spiegando che «lascia molti interrogativi una denuncia presentata dopo quaranta giorni dall’avvocato estensore che occupa questo tempo “per rimettere insieme i fatti”».

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