«Una delle questioni più critiche è senza dubbio quella dell’indipendenza dei media di servizio pubblico, classificata con un livello di rischio elevato. Questo livello di rischio deriva da carenze normative e dalle prassi conseguenti, nonché da specifici casi di preoccupazione». Il Centre for Media Pluralism and Media Freedom, cofinanziato dall’Ue, alza una bandiera rossa sull’indipendenza della Rai e sull’eguaglianza di genere nei media italiani. Nel complesso, all’Italia viene assegnata una valutazione di rischio medio-alto, che lascia il paese lontano da realtà come Svezia e Danimarca e lo vede appaiato a realtà come Macedonia del Nord, Polonia e Slovenia. 

Un’altra valutazione negativa per la tv pubblica, mentre la commissione di Vigilanza resta bloccata e la presidente Cinque stelle Barbara Floridia auspica un’accelerazione sulla ripresa dei lavori, minacciando di convocare anche nell’incertezza l’amministratore delegato Giampaolo Rossi. 

Le criticità

Il Centre for Media Pluralism and Media Freedom segnala come situazioni critiche in termini di indipendenza le procedure di nomina della governance e il blocco della commissione di Vigilanza. Altra questione cruciale, il finanziamento: «I ricavi derivanti dal cosiddetto canone Rai non sono considerati sufficienti a garantire la piena autonomia finanziaria e le frequenti proposte di riduzione del canone non solo rappresentano una minaccia velata di ritorsione politica per ottenere un trattamento favorevole, ma mettono anche a rischio la capacità dell’emittente di pianificare a lungo termine» si legge nel testo.

Vengono poi segnalate «denunce di copertura parziale». Come esempio viene citata la serata finale di Sanremo 2024, quando Ghali si era pronunciato sul conflitto in Medio Oriente provocando una nota di dissociazione firmata dall’allora ad Roberto Sergio. A seguire si parla anche del caso Scurati: «Finché il parlamento manterrà un ruolo dominante nella governance della Rai e i partiti politici continueranno a esercitare un’influenza significativa sulle sue decisioni strategiche, non potranno migliorare i parametri relativi all'indipendenza dei media di servizio pubblico» continua il report. «I criteri per la distribuzione dei contributi diretti dello Stato dovrebbero essere migliorati per garantire una distribuzione più equilibrata».

Anche in termini di eguaglianza di genere nei media la situazione è grave, scrive il Centre for Media Pluralism and Media Freedom. Tirata d’orecchie pure per la Rai: «il Consiglio di Amministrazione della Rai è composto da sole due donne. Inoltre, non si registra alcuna presenza femminile tra i direttori delle testate giornalistiche aziendali; sui 12 canali radiofonici Rai, solo 3 sono diretti da donne; e delle 15 strutture aziendali dedicate alle tematiche di genere, soltanto 2 vedono una direzione affidata ad una donna». La situazione è simile nella carta stampata, dove solo 2 su 35 testate nazionali hanno una direttrice. E nonostante a capo di governo e opposizione ci siano due donne, «restano necessari ulteriori interventi per garantire una rappresentazione realmente equa» si legge. 

La mossa di Floridia

Nel frattempo, con la ripresa dei lavori parlamentari, dovrebbe ripartire a breve anche l’iter della riforma della Rai, che la maggioranza vuole far approvare al Senato prima che inizi la sessione di Bilancio a ottobre. Nel frattempo, il lavoro della commissione di Vigilanza resta bloccato dall’assenza della maggioranza, mentre la giunta per il Regolamento deve ancora esprimersi sulla legittimità della convocazione dell’ad Rossi che risale ormai allo scorso febbraio. 

Su questo punto ha insistito giovedì la presidente Floridia a margine della presentazione del report. «La giunta si pronunci rapidamente, altrimenti procederò comunque» ha detto la senatrice. «Non siamo mai riusciti ad audire l'amministratore delegato, da un anno in carica» ha continuato. Floridia vuole vedere confermata la sua interpretazione del regolamento «che prevede un'audizione anche senza la volontà della maggioranza».

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