Ricomincia sabato 11 novembre, ogni sabato su Raitre alle 16.30 Gocce di Petrolio, l’approfondimento di Duilio Giammaria e la sua squadra. Il programma viene da una fortunata prima serata il 6 settembre, in cui la trasmissione si è occupata del tema della longevità. Anche le repliche sono andate bene, per Giammaria la dimostrazione che «l’accelerazione della creazione di contenuti ripetibili, diversi cioè dal tempo immediato del talk show, è la vera ricchezza dell’informazione di Raitre». 

Quali sono le peculiarità di questa nuova stagione del programma?

Il vantaggio fondamentale di questa edizione è che trenta puntate sono una lunga serialità. Siamo molto compatti come durata, esattamente 43 minuti, in una collocazione di flusso informativo: prima di noi c’è TvTalk, dopo la replica di Report. Certo non è la nostra collocazione abituale né ideale, visto che siamo sempre andati in onda in prima o in seconda serata, ma non è da escludere che il direttore Corsini che ci definisce un “format di garanzia” possa proporci nuove collocazioni prima della fine della stagione.

In che clima tornate in onda?

L’audience di inizio stagione è un ottimo segno: la prima serata Longevità ha raggiunto il 5% e quella delle repliche estive e nella collocazione pomeridiana hanno superato il 6 per cento. Ciò si aggiunge al consolidato capitale di immagine del brand Petrolio che nella classifica del Qualitel, lo pone tra i programmi informativi più graditi insieme a Che tempo che fa e Vita in diretta, tutti segnali che indicano che il patto con gli ascoltatori è solido. Gocce di Petrolio è l’occasione per ricostituire la squadra, che dopo la mia parentesi come Direttore di Rai Documentari, si era sparsa ai quattro venti.

Nel nuovo gruppo di lavoro, di cui sono entusiasta, si sono aggiunte professionalità nuove, che vengono da altre esperienze e  portano nuovi linguaggi e sensibilità. Gocce di Petrolio è un agile navicella corsara, che senza studio televisivo, va in onda direttamente dalla nostra redazione: più liberi di registrare quello che serve con le nostre troupe, una newsroom trasparente che mette in scena se stessa.

Di cosa vi occuperete? 

La prima puntata si intitola “La guerra in casa”: è il ventesimo anniversario della strage di Nassirya, ero proprio là, tra Baghdad e Nassirya. L’anniversario è l’occasione per un ragionamento su questi vent’anni di guerre: dall’Iraq, all’Afghanistan, sino alla Libia e ora a Ukraina e Medio Oriente. Quali errori abbiamo commesso, cosa ci hanno insegnato. Rispetto ad altri conflitti la nuova guerra in Medio Oriente ha posto l’orrore come vero strumento di propaganda. Proveremo ad analizzare come queste immagini sono utilizzate e come riconoscere immagini fake, abbiamo anche seguito ragazzi della comunità palestinese di Milano e come vive questo drammatico momento la comunità ebraica. 

Un altro tema sui cui stiamo lavorando sono le vicende dei dossieraggi più importanti della storia recente: come nascono, come vengono gestiti e qual è il loro valore per il giornalismo. Parleremo anche di Arabia Saudita, di qualità del lavoro, delle frontiere della medicina e di come possano impattare sul sistema sanitario nazionale. Più avanti racconteremo i dossieraggi più importanti della storia recente: come nascono i grandi affari, come vengono gestiti e qual è il loro valore per il giornalismo. Parleremo anche di Arabia Saudita e di lavoro: c’è un tema psico-sociale che vorrei approfondire. 

Come punto di riferimento dell’informazione della Raitre storica, nella nuova viale Mazzini a gestione meloniana, siete rimasti voi, Report, Presa diretta e il Tg3. Vi sentite un po’ l’ultimo presidio di quella che era Telekabul?

La buona tenuta dei programmi di inchiesta e di racconto in immagini dimostra la differenza tra noi e i talk show, che producono contenuti che scadono in fretta. Noi produciamo contenuti ripetibili e duraturi che dimostrano di avere un alto valore aggiunto rispetto ai talk. Abbiamo scommesso sulla creazione di un format in cui l’inchiesta in immagini si fonde con la divulgazione e tralascia invece il dibattito costruito sulle parole. Ci candidiamo in questa edizione a portare avanti questa vocazione, convinti che sia un investimento che pur richiedendo sforzi e dedizione incomparabilmente più impegnativi, incontra l’interesse degli ascoltatori e rispetta pienamente la missione di servizio pubblico.

In passato ha scritto che i talk show generano astensionismo. Visti gli ultimi risultati in termini di share sembra che oltre a far smettere la gente di votare la portino anche a cambiare canale. 

La comunicazione televisiva nel suo complesso è passata dall’essere percepita come luogo del diritto a un’informazione seria e verificata a luogo di contrapposizione  e polarizzazione ideologica. Quello che una volta era un sano tentativo di approccio popolare, la sceneggiatura della realtà, adesso prevale, a tal punto che si cerca quasi solo il colpo di teatro, un meccanismo che sta divorando sé stesso. Il valore sociale della televisione rischia di perdere valore. La disintermediazione, assieme alla progressiva rinuncia alla gerarchia delle notizie, ha lasciato solo il pubblico che si aspetta, ora più che mai, dal servizio pubblico una lettura approfondita e ordinata della realtà.

In tutto il panorama mediatico sembra che gli approfondimenti restino appannaggio della sinistra. L’informazione “di destra” non funziona?

Il game changer in questo contesto è La7, che è riuscita a far propri alcuni linguaggi tipici nati nel servizio pubblico. Andrea Purgatori, Andrea Salerno e gli altri sono stati molto bravi: hanno confermato il successo di un giornalismo di alta qualità che non si limitasse solo all’orientamento politico. Così facendo ha messo ai margini chi si distacca da quel modello. La polarizzazione non funziona. La7 è un ottimo competitor che stimola a migliorare la nostra offerta.

Quindi la Rai che cerca la novità in realtà ha già a disposizione tutti gli strumenti di cui avrebbe bisogno per fare una buona televisione, apprezzata dagli spettatori? 

Li ha. Bisogna dare però spazio, mezzi e autonomia editoriale ai laboratori di creazione e produzione giornalistica di approfondimento. Ad esempio, aprendoci alle collaborazioni con i public broadcaster che hanno progetti editoriali omologhi: penso all’americana PBS, a France Televisione, ad ARTE con cui negli anni abbiamo costruito solidi rapporti. E poi c’è il laboratorio aperto  su come il linguaggio social, possa essere integrato nel nostro lavoro, come fondere i nuovi linguaggi al rigore e all’autorevolezza delle nostre migliori capacità da broadcaster pubblico. Queste sono le sfide di questa edizione di Petrolio. 

© Riproduzione riservata