Fratelli d’Italia ha occupato la Rai, sta giocando a tetris con conduttori e programmi: ma se l’azienda verrà impoverita, a chi sarà intestato il fallimento? Le vicende impazzite del servizio pubblico in queste ore riecheggiano, si fa per dire, la storia di Giancarlo Pajetta che nel 1947 annuncia l’occupazione della prefettura di Milano. La risposta di Palmiro Togliatti, segretario del Pci, è rimasta scolpita nei libri di storia: «Bravo! E adesso che ve ne fate?».

Il paragone è azzardato, ma di un tal genere è la condizione dei nuovi vertici del servizio radio-tv dell’era Meloni. Che, finalmente ai posti di comando, ora prendono coscienza del fatto che la Lega vuole davvero azzerare il canone Rai. Ma il destino di una Rai senza canone è un disastro già scritto.

Tre giorni fa a Pescara il direttore generale Giampaolo Rossi ha ammesso che «la capacità di investimento» della Rai «è direttamente proporzionale alle risorse economiche». Lasciando capire che le risorse andrebbero aumentate. Una banalità. Ma è il problema numero uno che in questo momento lui, l’uomo che comanda a Viale Mazzini – non a caso è lui a parlare – e l’amministratore delegato pro tempore Roberto Sergio devono affrontare.

Subito, immediatamente: perché senza canone, o con un canone dimezzato, la Rai non ha la certezza delle risorse da impegnare per l’azienda. Quale piano industriale può essere stilato, se un bilancio da 2 miliardi e cento sarà tagliato di 500 milioni? E il ministero a sua volta quale contratto di servizio può presentare?

Così, se in superficie si discute di «nuova narrazione» e di «egemonia culturale» – ieri sono iniziati i colloqui con i conduttori – la corrente profonda dei guai di Viale Mazzini è quella del canone. Ed è una corrente fredda che spira dalla Lega, che ha fatto dell’abolizione del canone la sua nuova crociata.

Su questo dovranno rispondere Rossi e Sergio all’alba di giovedì 8 giugno alla commissione Vigilanza Rai, seguiti dalla presidente del cda Marinella Soldi, che sul tema non si è ancora espressa: in ogni caso è difficile che non si schieri contro l’abolizione del canone.

Una contrarietà che ormai è di tutta la maggioranza, tranne Lega. I Fratelli d’Italia sono pronti a farsi esplodere per fermare l’alleato: bene che la tassa finisca nella fiscalità generale, ma non che finisca nella dissolvenza. Forza Italia ondeggia, ma in realtà teme che senza canone il servizio pubblico rubi alle concorrenti una quota di pubblicità (a questo punto il tetto dovrebbe saltare), ovvero indebolisca Mediaset.

Ora anche i moderati si schierano contro Salvini. Lo spiega a Domani Maurizio Lupi: «La Rai è la più importante industria culturale del Paese ed ha in ruolo fondamentale di servizio pubblico, sganciato dalle logiche commerciali, attenta agli aspetti sociali ed educativi ed alla rappresentazione delle tante sensibilità culturali del Paese. Per tutelare questo servizio, possiamo ragionare sulle modalità di pagamento e sull’entità, ma non sulla eliminazione del canone». Moderato, come da stile della casa, ma deciso, e a fianco di Rossi: «La Rai ha il canone più basso tra tutti i Paesi europei, e questo rischia di penalizzarla rispetto ai competitor, anche internazionali. Nonostante questo produce contenuti di altissimo livello, come dimostrano i nostri format venduti all’estero. Senza gli introiti del canone la Rai dovrebbe abbandonare la sua mission e diventare un’impresa commerciale, rinunciando al servizio pubblico e sarebbe una grave perdita per tutti».

La Lega isolata

La Lega resta isolata. Al punto che il leader è pronto a mettere in croce il suo ministro delle Finanze Giancarlo Giorgetti. Che proprio il suo stesso partito ha convocato in Vigilanza per la prossima settimana. Giorgetti ha già spiegato che il canone uscirà dalla bolletta, ma non ha ancora chiarito se finirà a carico della fiscalità generale o se tornerà al bollettino tutto suo, con una previsione di perdita. In prospettiva c’è comunque lo slogan che Matteo Salvini vuole usare in campagna elettorale: «L’azzeramento», come ha ribadito una nota della Lega subito dopo l’uscita di Rossi.

Se la presidente Soldi aspetta l’audizione per dire in chiaro quello che pensa, non lo fa Francesca Bria, la consigliera Rai in quota centrosinistra, che sul punto ora si trova inaspettatamente d’accordo con l’amministratore e il direttore ai quali ha votato no: «La mia opinione è in linea con quello che dice sul tema lo European Media Freedom Act: ovvero che per garantire dei media pubblici indipendenti una delle questioni principali è che il loro finanziamento deve essere adeguato e stabile, al fine di garantire l’indipendenza editoriale. La Rai ha un canone che è uno dei più bassi d’Europa, quindi semmai il punto è come garantire più investimenti certi per la trasformazione del servizio pubblico, non meno». L’opposizione è pronta alle barricate, spiega il senatore Pd Francesco Verducci: «La certezza dei finanziamenti è l’unica garanzia per l’autonomia della Rai, di cui già adesso rimane ben poco. Chi vuole cancellare il canone vuole ammazzare il servizio pubblico. È chiaro che è così».

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