«Un’altra fumata nera su Agnes fa notizia?» Anche oggi, la commissione di Vigilanza non ratificherà la nomina della presidente designata della Rai. E all’orizzonte non si vede una soluzione nemmeno per il giro di nomine che coinvolge alcune direzioni di testata. Eppure il tempo comincia a stringere a viale Mazzini.

In realtà una notizia c’è. Sono le dimissioni inattese di Alessandro Casarin, direttore della Tgr ed ex aspirante consigliere d’amministrazione della tv pubblica in quota leghista. Alla fine ha avuto la meglio Antonio Marano, ma Casarin, il cui mandato è scaduto a fine novembre, ha deciso di anticipare l’inizio della sua pensione.

Una scelta che apre un vuoto alla guida di una testata che storicamente è territorio di conquista del partito di Matteo Salvini ma che, negli ultimi tempi, è diventato un’ambizione di Fratelli d’Italia. Non sembra però che ci sia modo di concludere entro il 19, la data del prossimo consiglio d’amministrazione, una trattativa interna alla maggioranza che per il momento non è stata nemmeno intavolata.

Motivo per cui, quando nei prossimi giorni Casarin ufficializzerà il suo addio, a prendere il suo posto con un interim sarà Roberto Pacchetti, sempre area Lega, il condirettore con più anzianità di testata. Non c’è una regola per assegnare l’interim, si procede per prassi. L’alternativa sarebbe stata l’altro condirettore, Carlo Fontana, con una maggiore anzianità di servizio.

Il 19, però, a convalidare la nomina sarà ancora il presidente pro tempore Marano – altro nome in quota leghista – che dovrà anche gestire l’altra questione incombente: la direzione del Tg3, poltrona destinata alle opposizioni.

L’accordo sulla Tgr è arrivato durante il vertice di maggioranza di lunedì sera, secondo qualcuno come contropartita per portare un po’ di pace all’interno dell’alleanza di governo già sufficientemente divisa a causa della manovra. Impossibile per FdI sottrarre l’interim a un alleato. Anche se dal partito di Giorgia Meloni non si danno per vinti. «È solo una situazione temporanea – giurano – quando riprendiamo la trattativa tutto è possibile». Anche perché, prima di dare il via al domino di nomine che a questo punto slitterà al 2025, c’è da risolvere la questione Tg3.

Il Pd continua imperterrito nel suo Aventino e resta lontano dalle trattative. Di Pierluca Terzulli, che sta guidando la testata da quando Mario Orfeo è passato a dirigere Repubblica ed è considerato un dem moderato, si dice sia benvisto da Avs che, con un patto con i Cinque stelle, ha portato in cda Roberto Natale, quindi ha voce in capitolo. Appare invece meno quotata in queste ore la possibilità che avvenga il passaggio di consegne con un nome considerato totalmente organico ai Cinque stelle, visto che non c’è movimento sui voti in commissione di Vigilanza necessari per eleggere Agnes.

Giuseppe Conte sembra in altre faccende affaccendato. Ieri è volato a Bruxelles da dove ha lanciato un piano alternativo alla «transizione militare» della Commissione von der Leyen. Invece di 500 miliardi per la ristrutturazione degli eserciti, 200 per l’automotive e 300 per le altre filiere. Viale Mazzini e Saxa Rubra sembrano lontanissime.

Ma la destra resta in attesa delle proposte delle opposizioni: «Vediamo che nomi portano, magari si trova un compromesso su qualcuno che piaccia a tutti: Avs, Cinque stelle e, da lontano, Pd».

Malumori legali

La strategia attendista di Giampaolo Rossi non piace a tutti. Il fatto che ancora non si proceda a distribuire le direzioni di Rainews, Raisport e, di conseguenza, parecchie direzioni di genere, inizia a innervosire diverse componenti della maggioranza. La speranza diffusa è che si decida presto se continuare a insistere su Agnes per la presidenza o trovare un’altra soluzione.

Qualcuno suggerisce che la nomina della pupilla di Gianni Letta nel board dell’autorità Ebu possa essere indicativa di qualche sviluppo – o magari addirittura della sostituzione in corsa della consigliera d’area azzurra – per trovare un nuovo accordo a gennaio. Ma al momento un’evoluzione in questa direzione appare più un auspicio che una possibilità reale.

Intanto, in attesa di indicazioni politiche, al settimo piano sono occupati con questioni più pratiche. Non è infatti piaciuta la gestione dell’ultima puntata di Report sulla vicenda Boccia. Stavolta, al centro delle polemiche della destra, non c’è il lavoro giornalistico degli inviati di Sigfrido Ranucci ma quello degli uffici legali. Prima della messa in onda ci sarebbe stata una consultazione con Francesco Spadafora, dominus degli avvocati Rai, per capire se fosse il caso di mandare in onda la discussione con sua moglie che Gennaro Sangiuliano, in diretta, aveva fatto ascoltare a Maria Rosaria Boccia. Per l’ufficio legale niente da segnalare, ma già lunedì l’azienda si è vista investita da una serie di diffide, con il risultato che il servizio sul web è stato depurato dall’audio, sostituito da una sintesi.

Certo, c’è anche la responsabilità del direttore degli Approfondimenti Paolo Corsini, ma il malumore dei dirigenti attualmente grava su Spadafora. «Due indizi sono una coincidenza, tre fanno una prova» è il ragionamento che circola al settimo piano. Report è stata soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso, prima c’è stata l’attenzione di Antonio Ricci e di Striscia la notizia sui pacchi di Stefano De Martino, accusato di condurre una trasmissione drogata di premi generosi, e la querelle su Sanremo, per cui il Tar della Liguria ha deciso la messa a gara del marchio. Tutte sconfitte o mancate tutele preventive da imputare proprio a Spadafora, a cui adesso viene chiesto conto della propria attività. Non ancora un avviso di sfratto, ma di certo un marcatura a uomo.

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