Lo stupro e il consenso, l’Italia è inadempiente. Ecco come funziona in Ue

Lo hanno chiamato il «green pass per fare l’amore», «lo stato etico tra le lenzuola», un modo per «inibire la libido», «una liberatoria», «un prestampato in cui lei dia il consenso al rapporto sessuale» o, addirittura, il «Pussy pass». Stampa e politici della destra italiana hanno definito così la proposta di inserire nel codice penale il concetto di consenso a un rapporto sessuale, rilanciato dopo la condanna in primo grado di Ciro Grillo, figlio del fondatore del M5s, e di altri tre amici per violenza sessuale di gruppo. Secondo La Verità il ddl a prima firma Laura Boldrini sarebbe stato proposto strumentalizzando la sentenza, ma non hanno preso in considerazione la data di presentazione del testo – il 7 febbraio 2024 – e, soprattutto, gli obblighi internazionali che l’Italia ha sottoscritto. In un paese in cui ogni tre giorni si conta una vittima di femminicidio e almeno il 31,5 per cento delle donne e delle ragazze ha subíto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il consenso nei rapporti sessuali, della donna nello specifico, è considerato come un vincolo alla libertà sessuale (dell’uomo). Come è ormai noto il femminicidio è l’apice di una violenza fatta di atti persecutori, maltrattamenti, violenza economica, psicologica, fisica e sessuale. L’ultima donna uccisa dal marito, reo confesso, a Paulisi, in provincia di Benevento, è Elisa Polcino, 49 anni. Secondo i dati del ministero dell’Interno gli omicidi di donne in ambito affettivo nei primi sei mesi del 2025 sono stati 45. L’Osservatorio di Non una di meno ne conta 64. Così come il femminicidio è l’esito di dinamiche di sopraffazione, possesso e controllo, anche lo stupro è un grave attacco all’integrità fisica, mentale e all’autonomia sessuale. Violenza sulle donne, i dieci anni della Convenzione di Istanbul (e della sua mancata applicazione) Legislazione italiana A riconoscerlo la Convenzione di Istanbul, il più importante strumento internazionale vincolante per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne. L’Italia l’ha ratificata nel 2013 senza però applicarla in toto. L’articolo 36 impone alle parti di adottare misure per perseguire penalmente chi si rende responsabile di atti sessuali non consensuali e per consenso si intende una «libera manifestazione della volontà della persona», «valutato tenendo conto della situazione e del contesto». Non un contratto scritto, quindi, ma assicurare la volontà in ogni momento del rapporto. Lo prevede il ddl 1693, che vuole inserire nell’articolo 609-bis del codice penale – che punisce il reato di violenza sessuale – il concetto di consenso, «espresso quale libera manifestazione della volontà della persona e che rimanga tale e immutato durante l’intero svolgersi dell’atto sessuale», «valutato tenendo conto della situazione e del contesto» e revocabile «in qualsiasi momento e con ogni forma». Oggi, invece, in Italia il reato sussiste solo quando l’autore usi violenza o minaccia o ci sia abuso di autorità. Il ddl, in commissione alla Camera, non è ancora stato calendarizzato. Per le firmatarie del testo è necessario poiché «persiste il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita», da cui dipende anche l’accesso alla giustizia. Denunce, storie e “contesto”: così si contano i femminicidi In Europa Viste le reazioni, non sarà un argomento di facile discussione in parlamento. Se si considera che sedici legislazioni in Ue – su 22 paesi che hanno ratificato la Convenzione – hanno adottato leggi basate sul consenso, il tema non può essere considerato una fissazione della sinistra italiana. L’approccio giuridico in vigore in Italia è sfavorevole a chi subisce la violenza perché obbliga a dimostrare di aver reagito alla violenza stessa, nonostante molti studi documentino che la reazione comune non è la resistenza ma il freezing, cioè l’immobilità. Secondo un rapporto del parlamento Ue di maggio 2025, sedici paesi hanno appunto modificato le proprie norme in linea con la Convenzione. Fuori dall’Unione, l’ultimo ad adottarlo è stata la Norvegia a giugno, dove il consenso deve essere esplicito, o a parole o con i fatti, altrimenti è violenza. Se si restringe ai paesi Ue, la più conosciuta è la legge spagnola “Solo sí es sí”, che nel 2022 ha introdotto appunto il consenso positivo. E, quindi, la volontà di accettare un rapporto deve essere espressa in modo chiaro. In Germania, invece, “No significa no”, dunque la volontà della vittima deve essere riconoscibile, ma non occorre dimostrare violenza o minaccia. Anche l’Austria ha lo stesso modello, che è stato criticato perché impone alle vittime di provare di aver esplicitato manifestamente il proprio consenso. Violenza di genere, cosa possiamo imparare dalla Spagna In Grecia e Portogallo esistono, si legge nel report, due reati sessuali di stupro soggetti a pene diverse: uno basato sulla forza e uno non consensuale. Ci sono poi paesi che prevedevano il concetto di consenso anche prima dell’adozione della Convenzione: Irlanda, Cipro, Belgio e Lussemburgo. Bruxelles è stato «pioniere» di un approccio basato sul consenso, che dal 1989 è stato via via modificato fino a prevedere una lista lunga di circostanze lo escludono. Al contrario, sottolinea il report, quattro paesi che hanno ratificato il documento «non hanno intrapreso alcuna azione per modificare la loro definizione penale di stupro». Tra questi l’Italia. Anche la Francia era in questo gruppo, ma il parlamento sta lavorando a un testo. Mentre in Italia si pensa ancora che «i ragazzi dovranno andare agli incontri con il registratore».