A un mese dal referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, la strada per le riforme necessarie a mitigarne gli effetti è lastricata di buone intenzioni. Ma conta ancora pochi risultati.

All’atto di formazione del secondo governo Conte, l’accordo era chiaro: Partito democratico e Liberi e uguali avrebbero votato l’ultimo passaggio richiesto per l’approvazione del taglio, in cambio di alcuni “correttivi”. Un documento dell’ottobre 2019, sottoscritto da tutti i capigruppo della maggioranza compresa l’allora neonata Italia viva, formalizzava le riforme da realizzare in una serie di punti: una nuova legge elettorale, l’equiparazione dell’elettorato passivo e attivo delle due camere, l’intervento sulla base elettorale del Senato e sui delegati regionali per l’elezione del presidente della Repubblica, la revisione dei regolamenti parlamentari e una riflessione sul «rapporto fiduciario» fra parlamento e governo. 

Il cantiere delle riforme

Un anno dopo, complice l’emergenza sanitaria, la maggioranza si è presentata all’appuntamento referendario senza aver portato a casa nessuno di questi provvedimenti. Forte del buon risultato delle amministrative Nicola Zingaretti ha rilanciato il tema la sera del 21 settembre: «Il Pd farà di tutto per rappresentare anche le preoccupazioni che hanno portato tanti cittadini a votare No. Il Sì è la garanzia che si apre il cantiere delle riforme, che dovrà andare avanti speditamente».

I “lavori del cantiere” si sono però bloccati giovedì scorso alla Camera, in occasione del voto sul meno controverso dei provvedimenti in discussione, la modifica costituzionale che permetterà anche ai 18enni di votare per l’elezione dei senatori. Italia viva - dopo aver dato il proprio ok in commissione solo nove giorni prima - ha voluto un rinvio della discussione in aula, chiedendo per voce della capogruppo Maria Elena Boschi «che non si vada avanti senza un progetto unitario». Una mossa subito bollata dal resto della maggioranza come una prova di forza per accrescere il potere contrattuale del partito di Matteo Renzi, in vista di nomine e legge di Bilancio.

L’effetto domino è stato immediato. E, complice anche la seconda ondata di Covid-19 che ha catalizzato altrove l’attenzione della maggioranza, il presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, Giuseppe Brescia, ha congelato i lavori su alcuni provvedimenti chiave, fra i quali la legge elettorale e la proposta di legge costituzionale sulla base regionale del Senato. «Serve un chiarimento politico su atteggiamenti molto ambigui, tra giochetti e veti», dice Brescia.

«Non è chiaro che cosa chieda Italia viva – dice Stefano Ceccanti del Pd – ma al momento è tutto bloccato. La situazione andrà risolta a un altro livello». Ovvero all’interno del governo, fra i capidelegazione del partito, e forse con la mediazione dello stesso premier Giuseppe Conte, come richiesto dai capigruppo Pd Graziano Delrio e Andrea Marcucci. Fino ad allora, i lavori sui “correttivi” concordati rimarranno fermi.

Elettorato attivo e passivo al Senato

La riforma per abbassare da 25 a 18 anni l’età richiesta per eleggere il Senato è già stata approvata una prima volta sia a Montecitorio che a palazzo Madama. Come tutti i procedimenti di revisione costituzionale, ora richiede una seconda deliberazione, questa volta a maggioranza assoluta.

Non pone particolari nodi politici. Tant’è che in prima lettura a Montecitorio, a luglio 2019 – governo Lega e Movimento 5 stelle – il provvedimento è stato votato in maniera bipartisan e ha ottenuto 487 sì e solo 5 contrari. Dopo la formazione del nuovo esecutivo sostenuto da Pd e M5s, i partiti di centrodestra – a quel punto all’opposizione – hanno deciso di astenersi durante il voto al Senato, a settembre 2020. Così ha fatto anche Italia viva, in polemica con la scelta del Pd di rinunciare a un emendamento che avrebbe cambiato anche il requisito anagrafico per diventare senatori, portandolo da 40 a 25 anni.

La speranza della maggioranza sarebbe chiudere il capitolo entro la fine dell’anno, ma alla luce dello stop di giovedì scorso l’obiettivo appare difficile da raggiungere.

La legge elettorale

La commissione Affari costituzionali della Camera ha scelto la proposta a prima firma Giuseppe Brescia – da qui il nome “Brescellum” – come testo base per la nuova legge elettorale.

Tre le coordinate principali: un sistema elettorale interamente proporzionale, senza la possibilità di accorpare le liste in coalizioni, con una soglia di sbarramento al 5 per cento e il “diritto di tribuna” per i partiti che non superano questa soglia.

Lo sbarramento innalzato al 5 per cento – che rischia di escludere per le formazioni più piccole come Italia viva e Liberi e uguali – è stato da subito il primo motivo di contrasto. Il partito di Matteo Renzi, almeno a parole, nelle ultime settimane si è detto d’accordo sulla soglia stabilita. Leu vorrebbe scendere al 4, ma è stato il segretario del Pd Nicola Zingaretti, a inizio ottobre, a blindare l’accordo dicendo che il 5 per cento «non è discutibile».

L’altra partita aperta è quella delle preferenze, sostenute soprattutto dal Movimento 5 Stelle e da Italia viva. Pd e Leu valuterebbero anche altre alternative, fra cui il Provincellum, il sistema un tempo in vigore per le province, che si fonda su collegi uninominali con riparto proporzionale dei seggi e, quindi, legherebbe in maniera più stringente i candidati al proprio collegio.

Prima ancora dell’incidente politico di giovedì, l’esame del testo andava già verso uno slittamento. Il provvedimento era atteso in aula per il 26 ottobre, invece è ancora in commissione, dove la scadenza per gli emendamenti è stata fissata al 30 ottobre. «Prevedo tempi lunghi», dice il capogruppo di Leu Federico Fornaro. Chi lavora al dossier allude anche all’eventualità che la legge elettorale possa non vedere la luce prima del prossimo anno. 

La proposta Fornaro

Per evitare gli squilibri fra la rappresentanza delle regioni più grandi e quelle più piccole, la proposta di legge costituzionale a prima firma Federico Fornaro prevede il superamento dell’elezione «a base regionale» del Senato.

Il testo cambia anche il numero dei delegati locali chiamati a partecipare all’elezione del presidente della Repubblica. Saranno due e non più tre per ogni regione, com’è attualmente previsto dalla Costituzione. Ne rimarrà sempre uno solo per la Valle d’Aosta.

La riforma sarebbe dovuta arrivare in aula questo mese, venerdì 23 ottobre, dopo aver superato in commissione l’ostruzionismo degli 800 emendamenti delle opposizioni, metà dei quali considerati inammissibili. Anche questa rimarrà in standby fino al chiarimento politico richiesto da più parti all’interno della maggioranza.

I regolamenti parlamentari

La più tecnica delle questioni: ridotto il numero dei parlamentari, è necessario intervenire con alcuni aggiustamenti anche sul funzionamento interno delle due camere. La giunta per il Regolamento della Camera – l’organo di autodisciplina di Montecitorio – ha stabilito giovedì 15 ottobre che se ne occuperà un comitato ristretto, composto da un membro di ogni partito. Al Senato, il processo di revisione del regolamento non è ancora iniziato.

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