La strada della Commissione europea verso la libertà di stampa è lastricata di buone intenzioni: vorrebbe intervenire nel panorama mediatico di democrazie illiberali come Ungheria e Polonia per tutelare la libertà dei giornalisti, ma rischia di avere effetti negativi sugli altri membri dell’Unione. In diverse realtà europee il dibattito sull’European media freedom act è accesso, in Italia le prese di posizione sono state poche, e per il momento neanche il parlamento entra nel merito della discussione.

Il testo dell’Emfa, che porta la firma della commissaria per la trasparenza Věra Jourová, è nato con ottimi propositi. Al centro del progetto, che nelle intenzioni fissa limiti minimi di libertà di stampa da tutelare, ci sono i panorami mediatici di stati europei come Polonia e Ungheria, dove il potere politico influenza pesantemente la produzione giornalistica.

La bozza prevede finanziamenti stabili per i media che non privilegino chi pubblica contenuti favorevoli al governo, ma vuole anche garantire la protezione delle fonti e vietare al potere politico di mettere sotto sorveglianza giornalisti e operatori dei media. A fare da garante c’è un organismo formato da esperti di tutti i paesi dell’Unione, l’European board for media services.

Il dibattito in Germania

L’iniziativa per sostenere la libertà di stampa nei paesi dov’è più limitata rischia paradossalmente di comprimerla altrove. È quel che temono, per esempio, le rappresentanze del servizio pubblico tedesco e il Bundestag, che sperano in una riforma del testo proposto da Bruxelles.

I dubbi sono principalmente due: innanzitutto, il rovescio della medaglia dell’impiego di un organismo in cui siedono esperti di ogni nazionalità è che a esprimere la propria opinione su questioni di libertà di stampa in Germania o in Italia sarebbero anche funzionari polacchi e ungheresi, o rappresentanti di altre realtà molto diverse in termini di libertà di stampa. L’altra questione pratica che ha provocato scetticismo è l’effettiva indipendenza dell’ente dal potere esecutivo dell’Unione europea, ossia la Commissione.

Nel dibattito tedesco i detrattori del progetto sottolineano come l’entrata in vigore del regolamento soppianterebbe tutto il sistema di pesi e contrappesi che ha regolato il sistema mediatico tedesco fino a oggi. Ad esempio, per garantire il principio dell’indipendenza dal governo la gestione del diritto dell’informazione è in mano ai Land, che si muovono in un quadro legislativo nazionale ma sono gli unici a poter decidere nel merito delle controversie.

La critica formale

Proprio in virtù di questo potere, il Bundesrat, la camera del parlamento tedesco che raccoglie i rappresentanti dei Land, già a novembre ha presentato una critica formale per mancato rispetto del principio di sussidiarietà verticale, una sorta di “cartellino giallo” rivolto alla Commissione.

Il Bundestag a dicembre ha raccolto le osservazioni dei Land in una mozione approvata dalla maggioranza (Spd, Verdi e Fdp) e dalla Linke, che raccomanda di avviare nuove trattative sul testo europeo, pur sostenendone i principi ispiratori. Nella mozione si sottolinea che il testo va oltre gli obiettivi prefissati e i firmatari ricordano che la gestione dell’impianto culturale è appannaggio dei singoli stati membri dell’Unione.

Istituire una commissione europea che decida su questo tipo di questioni sarebbe un «capovolgimento del paradigma», come ha osservato il presidente di uno dei due canali pubblici nazionali, Tom Buhrow della Ard. Buhrow critica anche l’impostazione orientata alla concorrenza della bozza che riduce la regolamentazione del settore a una formalità economica, oltre a citare il protocollo di Amsterdam del 1997, che assegna agli stati europei il diritto di normare lo spazio giuridico in cui si muovono i media.

A scendere in campo contro il testo anche le federazioni di editori Bdzv e Mvfp, che denunciano il rischio di vedersi sottratti la possibilità di influire sulle proprie pubblicazioni attraverso degli statuti di redazione che imporrebbe la legge.

Il caso italiano

Diversa la situazione in Italia, dove il testo è all’esame del parlamento ma società civile e politica si sono fatte sentire nettamente di meno.

Dopo l’esame in commissione Affari europei alla Camera il testo è attualmente all’ordine del giorno delle commissioni Cultura e Infrastrutture. I due organismi hanno avviato un ciclo di audizioni a cui ieri ha partecipato anche il ministro dello Sviluppo economico, Adolfo Urso, che nella sua trattazione ha dato un giudizio complessivamente positivo.

Il ministro ha sottolineato come il testo avrebbe, dal suo punto di vista, un impatto marginale sull’ordinamento italiano in questo ambito, dato che le leggi che lo regolano sarebbero perfino più avanzate delle norme proposte da Bruxelles. «Per l’Italia la proposta è condivisibile» in quanto «stabilisce vincoli giuridici uniformi per tutti i i servizi di media, al fine di assicurare il buon funzionamento e lo sviluppo del mercato degli stessi servizi e dei contenuti digitali e al contempo un livello minimo di salvaguardia del pluralismo e dell’indipendenza dei media», ha detto Urso.

I dubbi sull’indipendenza

Il ministro ha anche detto che il nuovo board dovrebbe essere «un mero organo consultivo della Commissione europea», un elemento che non risolve i dubbi sull’indipendenza dell’organismo dall’esecutivo Ue. Ma, al di là dei dettagli pratici, delle due l’una: o in Germania viene sopravvalutato l’impatto dell’ordinamento, oppure il governo italiano lo sottovaluta.

Interpellato sull’eventuale conflitto tra la legge europea e i regolamenti già in essere dal deputato del Movimento 5 stelle Antonino Iaria, il ministro non è entrato nel merito, preferendo invece sottolineare l’impegno dell’esecutivo contro l’omogeneizzazione culturale europea.

Insomma, via libera dal governo al testo. Resta da vedere se il parlamento vorrà prendere iniziativa.


 

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