E se un destino burlone ma anche infametto costringesse Matteo Renzi a corteggiare – politicamente parlando, s’intende – proprio l’uomo che nel 2014 aveva defenestrato da palazzo Chigi, quell’“Enrico stai sereno” ridicolizzato, vilipeso e costretto a emigrare in Francia; che però oggi è tornato, è a capo di un partito tutto sommato in salute e che alla fin dei conti costituisce la sua unica zattara di salvataggio, sempre politicamente parlando?

Il leader di Italia viva sta entrando in una stagione primavera-estate turbolenta. Il 10 maggio darà alle stampe il libro Il mostro, che ha annunciato come un atto d’accusa contro i magistrati che hanno indagato lui e la sua famiglia. Sarà un esplosione pirotecnica, prevede, a cui seguiranno altri botti derivanti dall’approdo in aula del processo Open; a metà luglio dovrebbe essere interrogato lui stesso.

Ma intanto il senatore fiorentino, preso atto che di non essere più o forse di non essere mai stato il “Macron italiano”, deve immaginare cosa farà il suo partito Italia viva da grande. O meglio da piccolo, visto che i sondaggi lo quotano intorno al 2 per cento.

La sua immagine personale e politica è logorata: dall’amicizia in dollari con bin Salman al ritiro precipitoso dal cda di Delimobil, società di car sharing a Mosca. Ma il vero guaio è che le sue brillanti idee politiche ormai cadono come birilli. Renzi non è riuscito a portare al Colle Pier Ferdinando Casini, su cui aveva scommesso per il suo rilancio e su cui aveva costruito il sogno di nuova forza centrista. Da quel momento niente è andato in buca: l’ipotesi di Italia al centro, con Giovanni Toti e Luigi Brugnaro e Paolo Romani, è saltata.

Ed è saltata proprio a Genova, cioè nella città dove c’erano le condizioni migliori per costruirla alle prossime amministrative, sotto la protezione del presidente della regione, che – benché nato a Viareggio, cresciuto a Marina di Massa e vissuto a Milano dove lavorava come giornalista di Mediaset – in città ha un discreto seguito. Nel capoluogo ligure Renzi sosterrà ugualmente il sindaco delle destre Marco Bucci, l’uscente che si prepara a essere rieletto. Ma i suoi candidati «andranno a rinforzare la lista civica», spiega Raffaella Paita, sua plenipotenziaria in regione. Paita nega l’intenzione di Iv di buttarsi a destra.

Sognando Parigi

In effetti anche quell’idea è stata un flop. Così l’ultima pensata politica Renzi è un’altra. Il giorno dopo la vittoria di Macron in Francia, l’ha raccontata ad alcuni parlamentari di Iv: «Il Pd rifletta. Le elezioni francesi dimostrano che si vince con Macron, e non con Mélenchon o Hidalgo». Questo è il pezzo di ragionamento rivolto a sinistra. Poi c’è l’altro corno, quello rivolto a destra: «Rifletta anche Berlusconi, se insegue Salvini o Meloni sbaglia. Il problema è che in Italia non abbiamo né un Macron né il sistema francese a doppio turno, che impedisce ai populismi di destra e di sinistra di sommarsi. Se nel 2018 si fosse votato con l’Italicum, paradossalmente, non si sarebbero potuti sommare Lega e Cinque stelle».

È andata diversamente, anche e soprattutto grazie alla sua scelta di godersi lo «spettacolo» della nascita della maggioranza gialloverde mangiando popcorn. Ma questa sarebbe un’altra storia.

Oggi la storia è: Renzi sa che il brillante futuro di Macron italiano gli è dietro le spalle. E questo anche se l’amico e eurodeputato Sandro Gozi ancora ci spera, e ci lavora. «En Marche e Italia viva sono alleati in Renew Europe», il gruppo europeo, «c’è molta cooperazione tra i due movimenti a vari livelli», assicura. «Ho spinto sin dall’inizio per i rapporti tra le due forze politiche e affinché Iv aderisse a Renew. Obiettivo l’aggregazione delle vari forze centrali. Devono superare le loro divisioni. Come Renew vogliamo espanderci nei paesi in cui non siamo abbastanza presenti, a partire da Italia e Polonia».

In Polonia chissà. In Italia questo progetto proprio non parte. Fallita l’alleanza centrista fra Iv e Azione per incompatibilità fra Renzi e Carlo Calenda, fallita quella con i cespugli di centrodestra, stavolta il senatore fiorentino tenta una posta più grande. La proposta formale l’ha consegnata al Giornale: un appello a Enrico Letta e Silvio Berlusconi. «Siate macroniani, il voto in Francia deve far riflettere urgentemente i leader italiani». Il primo, secondo Renzi, deve abbandonare l’idea di allearsi «con un personaggio come Giuseppe Conte che solo settantadue ore prima non sapeva scegliere tra Macron e Le Pen e strizza l’occhio al populismo di sinistra di Mélenchon». Il secondo smetta di «continuare a puntare su Salvini e Meloni nella speranza di vincere lezioni».

Una provocazione, una «renzata», a cui il Pd non risponde neanche. E che da Articolo uno bollano come una proposta «della disperazione». Ma se è una provocazione, lo è fino a un certo punto. Renzi dà per scontato che alla fine non si faccia una legge proporzionale e si vada al voto con l’attuale sistema elettorale. E dà per assodato che presto o tardi, ma prima delle elezioni, i Cinque stelle imploderanno e che per salvare il salvabile Giuseppe Conte sarà costretto a portare i suoi al voto da soli.

In confusione

Su questa convinzione, quello che oggi sembra incredibile per Renzi diventa una possibilità reale. Anche perché Letta, che sull’alleanza con il M5s ha scommesso dall’inizio, ormai è sempre più deluso e spiazzato dagli ondeggiamenti dell’ex premier. Il segretario Pd potrebbe dunque trovarsi costretto ad un matrimonio forzato con Italia viva. Anche se al momento l’eventualità viene data per impensabile fra le forze progressiste, e anzi al congresso di Art.1, lo scorso weekend, Renzi non è neanche stato invitato in quanto non appartenente al «campo largo» di centrosinistra.

Una scelta sgarbata che il senatore non ha neanche commentato. Francamente se ne infischia. Il suo futuro non è dentro il centrosinistra nella sua versione giallorossa, ma in un agglomerato centrista. E se gli va bene, sarà con il Pd di Letta. A cui infatti da dopo la rielezione di Sergio Mattarella non fa che porgere complimenti e affettuosità.

Ma è un futuro incerto, in cui non crede nessuno, neanche dei suoi. Fra i quali infatti regna l’incertezza di doversi rivolgere a destra o a sinistra, insomma la confusione più assoluta. Ieri il cordoglio per la morte di Assunta Almirante è sfuggito di mano a Ettore Rosato, che si è spinto fino a parlare di «eredità morale e politica» del marito Giorgio, fondatore del Movimento sociale e già direttore della Difesa della razza in epoca fascista. Scatenando ironie e polemiche. «Capisco la necessità di giustificare l’alleanza con la Meloni a Genova, ma anche l’eccesso di zelo ha un limite», lo ha sfottuto o il coordinatore di Articolo uno Arturo Scotto. A alla fine il tweet è stato rettificato. Ma l’idea che Renzi si butti a destra circola nei territori.ome un veleno.

A Genova, dopo l’appoggio a Bucci, Alessandro Terrile, capogruppo Pd in comune, assicura che la scelta «è stata frutto di decisioni del gruppo dirigente nazionale di Iv» e che «i militanti locali, peraltro pochi, si divideranno». Dei tre consiglieri, due sosterranno il centrosinistra e uno il centrodestra. A Palermo il senatore Davide Faraone si è ritirato dalla corsa a sindaco a favore del candidato Roberto Lagalla, dell’Udc e di Marcello Dell’Utri. A Bologna, Isabella Conti, la sindaca di San Lazzaro che ha partecipato alle primarie contro Matteo Lepore, ha lasciato il partito: «Non c’è chiarezza sui valori nei quali Iv si incardina e si riconosce. Io mi riconosco in quelli del centrosinistra».

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