Matteo Renzi rilancia. In una conferenza stampa da un’ora, il leader di Italia viva ha presentato tre proposte di legge che sembrano più un assist che una sfida alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Nonostante l’ex premier l’abbia messa giù come un modo per rivelare l’inconsistenza del lavoro compiuto fin qui dal governo, infatti, Renzi offre di fatto a Meloni la via d’uscita per tre strettoie. 

La prima è il presidenzialismo, eternamente legato (e affondato) con l’autonomia su cui punta la Lega, ma che per adesso non avanza. Renzi ha firmato a favore di telecamera una proposta di legge che introduce il premierato, offrendola di fatto alla maggioranza come punto di partenza. «Firmo ora il ddl costituzionale che il governo Meloni non ha avuto la forza in nove mesi di fare. Prevede l'introduzione dell'elezione diretta del presidente del Consiglio. Noi ci siamo a discuterla anche ad agosto, vediamo chi ci sta».

Secondo passaggio, il contrasto al dissesto idrogeologico, con il ripristino di Casa Italia e Italia sicura: stavolta, l’occhiolino di Renzi è diretto a Licia Ronzulli. La capogruppo di Forza Italia, che aveva spiegato che avrebbe volentieri accolto Renzi nel suo partito senza particolari problemi, aveva infatti dato disponibilità a trasformare in ordini del giorno due emendamenti sul tema presentati da Italia viva. Un provvedimento, ha provocato il leader di Italia viva, che farebbe svanire anche le accuse di ferie troppo lunghe che vengono mosse in questi giorni ai senatori. «Se la maggioranza ha voglia di lavorare la settimana prossima si cancellano le ferie, si viene qui e si vota questa proposta e in due giorni si dimostra agli italiani che vogliamo lavorare» ha detto. «A La Russa dico, convoca il parlamento per la settimana prossima. Con quattro settimane le ferie si fanno lo stesso».

Contro Conte e la Cgil

Soluzioni da riformista di destra con cui Renzi prova anche a far passare in secondo piano la polemica sui soggiorni al Twiga della ministra Daniela Santanchè dei suoi parlamentari, accusati anche dall’ex alleato Carlo Calenda di una scelta inopportuna. 

La terza proposta di Renzi, invece, tenta di sbaragliare a sinistra. Unico capo delle opposizioni a non sottoscrivere la proposta di salario minimo proposta da Pd e M5s, l’ex premier si è lanciato in una lunga filippica sull’opportunità di agganciare il salario minimo a un fondo pubblico, che, dice Renzi, andrà alimentato con le tasse degli altri lavoratori. «Così aumenti le tasse a un operaio o a un impiegato per il Salario minimo quando si può e si deve fare in altro modo».

Per questo, ha tentato di smarcarsi sposando un’iniziativa di legge popolare: «Io oggi firmo qui la partecipazione al lavoro per una governance di impresa partecipata dai lavoratori, una proposta di legge di iniziativa popolare avanzata dalla Cisl. Vuol dire che se fai un bel guadagno a fine anno, detasso l'utile se va in tasca ai lavoratori. È uno strumento molto potente contro le disuguaglianze». Insomma, se Meloni volesse, Renzi le ha fornito tutte le carte per sfuggire a più di qualche polemica. E forse, anche alle pretese di qualche alleato. 

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