L’irritazione di una parte del Pd nei confronti del suo ministro dell’Economia Roberto Gualtieri è arrivata al culmine. Lo scontro non si è consumato apertamente, Gualtieri al momento è troppo potente per prenderlo di petto. Ma nell’ultima settimana uno stillicidio di critiche e frecciate al ministro è stato recapitato dai piani alti del Pd alle redazioni di tutti i principali quotidiani.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è la freddezza che Gualtieri ha ostentato nei confronti della polemica sul Mes sanitario, il fondo europeo che il Movimento 5 Stelle non vuole e che la segreteria del Pd guidata da Nicola Zingaretti ha deciso di trasformare nell’ariete con cui piegare i partner di coalizione e invertire la narrazione che, almeno sui giornali, vede il Pd succube dell’alleato. Ma l’ostilità tracimata in questi giorni, in realtà, nasconde molto di più e cova da molto più tempo.

Dalla Fgci a Veltroni

Roberto Gualtieri, 54 anni, suonatore semi professionista di bossa nova, professore di storia in aspettativa all’università La Sapienza, frequenta la politica da quando era un ragazzo. Iscritto alla giovanile del Pci, poi ai Ds e infine al Pd, è stato a lungo un “intellettuale organico”, un pensatore con la tessera di partito, ma senza incarichi dirigenziali o elettivi.

Nel mutevole contesto della sinistra post crollo del muro di Berlino, Gualtieri si collocava in una posizione mediana, distante dai nostalgici di sinistra, ma altrettanto lontano dai centristi di Walter Veltroni, che immaginavano per l’Italia un futuro maggioritario, con un largo partito di centrosinistra sul modello dei Democratici americani. Gualtieri, come Massimo D’Alema e il gruppo dei Giovani Turchi a cui era affiliato, voleva invece la nascita di una forza politica socialdemocratica che, in un contesto proporzionale, si sarebbe alleata ai moderati, pur rimanendone distinta. Nonostante i ruoli importanti che Gualtieri ha ricoperto nei vari comitati di intellettuali che tra 2006 e 2007 hanno contribuito a gettare le basi del futuro Pd, è stata la visione di Veltroni a spuntarla.

Il professore

Il suo primo vero ruolo politico è arrivato nel 2009, quando è stato eletto per la prima volta al Parlamento europeo. Si trattava di un ambiente che Gualtieri avrebbe presto dominato. Il Parlamento europeo è una macchina complicata, dove le regole sono chiare, ma difficili da padroneggiare. A Bruxelles e Strasburgo ha successo chi studia a i dossier e chi rimane sveglio fino a tardi a correggere gli emendamenti. Se il Parlamento italiano è il regno dei machiavellici alla Roberto Calderoli, quello europeo è il dominio dei secchioni come Gualtieri.

«Quando ti confronti con lui devi lavorare il doppio, controllare e ricontrollare tutto», dice Daniele Viotti, suo collega al Parlamento europeo tra 2014 e 2019, mentre ricorda lo scrupolo certosino con cui Gualtieri affrontava ogni questione. Sono opinioni condivise da tutti coloro che a Bruxelles hanno lavorato con lui, che siano italiani o stranieri, alleati o avversari.

Nel 2014, Gualtieri è divenuto presidente dell’importantissima commissione per i Problemi economici e monetari del Parlamento europeo. Da questa posizione privilegiata, ha costruito un ponte fondamentale con il presidente della Bce Mario Draghi ed è riuscito a portare avanti gli interessi italiani su un gran numero di dossier. La sua principale vittoria è stata ottenere che fosse il Parlamento a regolamentare i crediti deteriorati, un problema particolarmente urgente per le banche italiane. Grazie a questi risultati, Gualtieri è sempre stato in testa alle classifiche degli europarlamentari più influenti.

Un europeo a Roma

Lo scenario per lui è cambiato radicalmente quando poco più di un anno fa è arrivato a Roma per assumere l’incarico di ministro dell’Economia. Privo di alleati e sostanzialmente a digiuno di politica romana, avrebbe potuto diventare un mero esecutore, poco più di un tecnico come il ministro che lo ha preceduto, Giovanni Tria. Ma la pandemia e i rapporti privilegiati che mantiene con le istituzioni europee lo hanno trasformato in una figura centrale e intoccabile. Questo, unito alla sua scrupolosità, che gli avversari potrebbero definire pedanteria, e ai suoi modi professorali, che qualcuno potrebbe trovare arroganti, non è un buon miscuglio per generare simpatia.

Oggi Gualtieri è visto da molti alleati come un professore cavilloso, un ostacolo e una fonte di lentezze quando si parla di nomine, di questioni delicate come quella di autostrade o come il nuovo lockdown (Gualtieri ha definito «intollerabili» i ritardi nell’arrivo degli aiuti di stato durante la prima ondata e ora vuole essere sicuro di aver le risorse da dispiegare immediatamente quando arriveranno le nuove restrizioni).

Ma più di tutte su di lui incombe la faccenda del Mes. Gualtieri ha detto di non avere pregiudizi nei confronti del fondo europeo, ma non ha mai preso la posizione forte che il partito gli chiede, conscio tanto della difficoltà che ha la pubblica amministrazione italiana nello spendere i soldi, quanto della delicatezza che la questione riveste per la stabilità del governo. Nessuno sa come finirà la questione, ma per Gualtieri i tempi di Bruxelles. in cui nemici e alleati erano uniti nel tessere le sue lodi. sembrano ormai terminati.

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