C’è qualcosa di eccessivo, di sgangherato, nella scelta di presentare un emendamento del tutto soppressivo alla proposta di legge sul salario minimo, il testo unitario delle opposizioni (tranne Iv) che stamattina inizierà l’iter in commissione lavoro della Camera. La legge è un tentativo a perdere: la premier avversa il concetto stesso di minimo salariale.

Ma è un tentativo ad alto tasso simbolico. Per tre ragioni: prima, l’Italia è uno dei pochi paesi fondatori Ue che non ha un limite salariale sotto il quale sia illegale erogare lavoro; seconda, il tema incontra l’interesse dell’elettorato di centrosinistra ma anche in quello delle destre, lo sostengono i sondaggi ma non ci voleva un sondaggista per capirlo; la terza è una ragione di prospettiva politica: per la prima volta dalla sconfitta del 25 settembre quasi tutti i futuri papabili alleati di uno schieramento antidestre sono riusciti a mettersi insieme, anche se per perdere.

In commissione sono depositati sette emendamenti a firma Aboubakar Soumahoro, uno di Iv, due di +Europa. Ma l’unico a passare, forse a essere votato, sarà il primo, quello della destra. Che è a sua volta un gesto dimostrativo: l’emendamento soppressivo è di Immacolata Zuorzolo, torinese, FdI. La quale si intesta un dispetto inutile, una cattiveria modello ragionier Filini contro Fantozzi, coincidenza la deputata è ragioniera.

Asfaltare il testo già in commissione è infatti solo uno sfregio, visto che è già stabilito che in ogni caso arriverà in aula il 28 luglio. E avrà un relatore, anzi una relatrice, Marta Schifone, «farmacista specializzata in scienze e tecniche cosmetiche», che si troverà nella bizzarra condizione di chiedere l’affossamento della legge che illustra.

Le opposizioni proveranno comunque a tenere i toni alti fino a quel giorno. Ieri Elly Schlein, da Forlì – dove ha riunito la sua segreteria “itinerante”, stavolta sui luoghi dell’alluvione – ha avvertito la maggioranza: il no non è «contro le opposizioni, ma contro tre milioni e mezzo di lavoratori poveri che il governo non può continuare ad ignorare. Andremo avanti, dentro e fuori dal parlamento».

Meloni e la sua mini-card

Al di là delle dichiarazioni pubbliche e delle apparenze, Giorgia Meloni sa che il tema del salario è insidioso. Per questo vuole che sparisca dal dibattito. Ma insieme deve allontanare il sospetto di essere preoccupata solo delle tasse di imprenditori e autonomi, e della difesa dei suoi ministri e famigli nei guai. Di qui il lancio della social «mini-card», presentata come risposta alla cancellazione del reddito di cittadinanza (ma ha un finanziamento mensile di uno a dieci). Ma di qui, soprattutto, la necessità di dare qualche segnale positivo al mondo del lavoro, e in particolare ai sei milioni e mezzo di dipendenti delle categorie con contratto scaduto, dunque i salari fermi al palo.

Così, dopo mesi di inascoltate proteste dei sindacati, è arrivato il rinnovo per un milione e mezzo di docenti della scuola (evviva). Ieri è partito anche il confronto «no stop» con i sindacati dei dirigenti medici e sanitari. E il ministro della pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ha annunciato che cercherà trovare i soldi per il contratto del Pubblico Impiego, atteso da un anno e mezzo. «Gli diamo un suggerimento: li prenda dai sussidi ambientalmente dannosi. C’è un emendamento al nuovo Decreto Pa che individua in quei sussidi una copertura annua di due miliardi», gli ha replicato Arturo Scotto, capogruppo in commissione lavoro. Non andrà così. Ma Zangrillo un po’ di soldi li troverà.

Poi, una volta seppellito il salario minimo (ma Scotto ipotizza di ripresentare la legge dopo sei mesi), per settembre la maggioranza prepara una sua riforma del lavoro. Contenuti ancora vaghi, forse l’introduzione dei lavoratori nelle governance delle aziende. L’importante è avere una controprogrammazione da opporre allo sciopero generale su cui già si ragiona, dopo che la Cgil avrà tastato il polso della piazza con la manifestazione nazionale già convocata per il 30 settembre.

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