La battaglia sul ddl Zan è sospesa. Rimandata a settembre. Ieri pomeriggio al Senato sono andate in scena probabilmente le ultime battute della discussione generale sul testo. Come sempre è stato uno spettacolo. Sono piovute perle come: «Più uno viene discriminato, più uno cresce», la certezza della senatrice Antonella Faggi, che maternamente ha spiegato che «noi siamo come Dio ci ha fatto, dobbiamo accettarci, non dobbiamo andare oltre quello che ci è stato consentito». Lo show però si ferma. Da oggi in avanti è difficile che l’aula troverà lo spazio per riprendere il filo. Le ferie di palazzo Madama iniziano il 6 agosto. Oggi e giovedì in aula arriva il decreto sostegni bis. La prossima settimana, da martedì fino al 30 luglio, arrivano i decreti Recovery fund e il decreto sulla Pubblica amministrazione.

Una volta finita la fase della discussione generale, sul ddl Zan ieri sono stati rovesciati quasi mille emendamenti. Quasi 700 solo della Lega. Alcuni spassosissimi, come sempre quelli ostruzionistici. Alcuni per esempio spostano in date sparate a piffero la giornata nazionale contro le discriminazioni omotransfobiche. Matteo Salvini vuole il dialogo ma prepara la guerra. Pronto, dice, a ritirare tutto se c’è la disponibilità di Enrico Letta a trattare. A un certo punto nel pomeriggio di ieri un’associazione per i diritti, GayLib, canta vittoria perché crede aver convinto il leader della Lega a ritirare «la pletora degli emendamenti». Ma non è così: in quell’esatto istante alla riunione dei capigruppo il senatore Roberto Calderoli sta invece annunciando l’ennesima richiesta di ritorno in commissione della legge Zan. Anche Fratelli d’Italia ha in programma la stessa richiesta, magari di cercare l’incidente con una prima richiesta di voto segreto. «Fratelli d’Italia userà tutti gli strumenti a disposizione per combattere», annuncia Daniela Santanché.

Senza spiragli

Insomma, dialogo zero. La responsabilità ricade sul segretario del Pd Enrico Letta che continua a smentire ogni voce di spiraglio. Un autorevole esponente del Pd, non amichevole con l’ex premier, spiega che «Letta vuole rimandare tutto a dopo le amministrative perché si vota a Bologna e Milano dove il tema è sentito e la visibilità da duro e puro gli serve». Ma in realtà a seminare di mine il campo sono i leghisti. Il deputato Enrico Borghi scrive sui social: «Terzo giornalista che chiama per sapere se sono vaccinato (..). Perché questi eroi la prossima volta che intervistano un Lgbt non gli chiedono se è sieropositivo e se fa profilassi?». A scatenarsi nell’aula della camera è il forzista Elio Vito: «Mettere lo stigma della sieropositività su una intera comunità è una cosa ignobile. Paragonare omosessualità e sieropositività è una forma di discriminazione gravissima». Letta ha gioco facile a concludere che «questi sono coloro con i quali noi dovremmo negoziare e condividere norme contro la omotransfobia».

Gli emendamenti

Torniamo al Senato. A scorrere la valanga degli emendamenti si intravede il gruppetto di quelli firmati da Calderoli, che possono raccogliere i voti di tutte le destre. Ma quelli più interessanti sono senza dubbio i quattro proposti da Italia viva, due a firma del capogruppo Davide Faraone e del senatore Giusppe Cucca, due a firma di Riccardo Nencini. All’articolo 1 le condotte discriminatorie sono quelle «fondate su misoginia, abilismo, omofobia o transfobia»; cancellata dunque la discriminazione per l’identità di genere (ma viene mantenuta la misoginia, che non piace ad alcune femministe). All’articolo 7, quello in cui sono coinvolte le scuole nella celebrazione della giornata contro le discriminazioni, si aggiunge una sottolineatura della «piena autonomia scolastica». Due le formulazioni proposte per l’articolo 4, quello che ribadisce la libertà di pensiero, «che non configuri istigazione al compimento di atti discriminatori o violenti». Se Renzi credesse davvero che su queste basi si può costruire un accordo con la Lega e con Forza Italia, perché farsi scappare l’occasione di annunciarlo?

La verità è che la Lega punta a smontare il testo e farlo diventare una legge «che non estenda la legge Mancino», come dicono esplicitamente i senatori in aula, chiede «una retromarcia in autotutela». Insomma punta a un’altra legge, nel migliore dei casi. Il Pd si limita a presentare un ordine del giorno «per dare piena chiarezza interpretativa sull’intero provvedimento». Un tentativo di replicare al catalogo delle obiezioni delle destre: la scelta del sesso «non può mai essere il solo elemento volontaristico a determinare la rettificazione di attribuzione di sesso, bensì un percorso di accertamento rigoroso svolto in sede giudiziale», la libertà di pensiero non è in discussione, e quanto alla giornata contro le discriminazioni, le disposizioni proposte sono «finalizzate non a sostenere pensieri o azioni ispirati a ideologie, ma a trasmettere la conoscenza e la consapevolezza riguardo i diritti e i doveri costituzionalmente garantiti della persona». Ma se ne riparla dopo l’estate.

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