La Calabria non finisce mai di stupirci. Quando si vota, poi, è insuperabile. Sarà Nino Spirlì il candidato governatore alle elezioni regionali d’autunno scelto dalla Lega. Ad annunciarlo sono calati dalla Padania un vicesegretario nazionale, Andrea Crippa, e un viceministro, Stefania Pucciarelli. «In questa regione – ha esordito il primo – abbiamo tutta la possibilità che il candidato sia della Lega, una persona che ha operato in modo impeccabile». «Il candidato l’abbiamo già», ha rincarato la viceministra Pucciarelli. Nessun nome, solo un identikit precisissimo: quello di Nino Spirlì. I bene informati dicono che sarà sicuramente Matteo Salvini, atteso in Calabria per domani, a dare l’imprimatur definitivo. L’eccentrico Spirlì tace. Per il momento è impegnato con il cinema. O meglio, con uno spot. Otto minuti girati dal regista “emozionale” Gabriele Muccino, con Raul Bova protagonista, costato al povero contribuente calabro 1,7 milioni di euro (scesi a 1,25 dopo una lunga vertenza legale). Il video (una carrellata di luoghi comuni sulla Calabria) serviva a promuovere e rilanciare il turismo, ma non è mai andato in onda, ora le cose sono cambiate. Muccino si è impegnato a girare nuove scene e rimontare il tutto, con Spirlì che vigila sulle riprese.

Carte leghiste

In comune con Salvini, il “facente funzione” ha l’adorazione per i simboli religiosi. Li ostenta. Indossa “scapolari” e si fa scivolare tra le dita rosari. Al contempo odia il politicamente corretto. Per lui, «omosessuale a tempo perso e cattolico praticante», un gay è un «frocio» e un nero è un «negro».  «Userò le parole ‘negro’ e ‘frocio’ fino all’ultimo dei miei giorni, in calabrese dico ‘nigru’ per dire negro, non c’è altro modo». In ogni caso, bisognerà aspettare Salvini per capire se quella del suo vicesegretario nazionale e della sua viceministra, è una boutade o una cosa seria. Se è una carta che il leader leghista vuole giocare (ma come un bluff) nella grande partita della federazione del centrodestra con Berlusconi, oppure una cosa concreta. Nel primo caso, dopo qualche giorno di melina, la Lega abbandonerà Spirlì per concentrarsi su Roberto Occhiuto, il capogruppo alla Camera di Forza Italia, nel secondo andrà avanti con il “facente funzione”. Insomma, per il centrodestra calabrese l’alternativa è un nome (Occhiuto) che, senza offrirsi alle frustate della satira, sia in grado di garantire il “sistema”, in Calabria potente e bipartisan, e il pirotecnico Spirlì. Che il sistema lo garantisce ugualmente, ma con quella punta di spettacolarizzazione che piace tanto al leader leghista.

I democratici

E il Pd? L’ex ministro Francesco Boccia, mandato in Calabria da Enrico Letta per sbrogliare la matassa candidature, è tornato a Roma. Ora la trattativa con i Cinquestelle si sposta nella Capitale, e si parla direttamente con Conte. Il tema è trovare un nome, e il Pd ne ha già bruciati troppi. In primo luogo quello di Nicola Irto, l’ex presidente del Consiglio regionale. Lo hanno fatto trottare da solo per tre mesi fino a sfiancarlo. Ora, dopo una sua durissima lettera a Letta e una serie di interviste di fuoco, tutti si affannano a dire che Irto sarà il candidato del centrosinistra. Ma non è così, per il giovane recordman delle preferenze (12mila alle ultime regionali), la strada è chiusa. Dopo che ha detto ai quattro venti che il Pd calabrese è diviso “in piccoli feudi”, con feudatari «che giocano a fare gli statisti per garantirsi una poltrona», arricchendo la dose con l’accusa dell’esistenza «di un trasversalismo in pezzi del centrosinistra dovuto ad interessi comuni con pezzi del centrodestra», è impossibile rimangiarsi tutto e vestire i panni del candidato. In campagna elettorale anche l’avversario più benevolo gli rinfaccerebbe questi giudizi. Per il momento Irto deve accontentarsi di affiancare Letta nelle trattative con Conte, e convincerlo a fare le primarie. Passaggio che i “grillini” non vogliono, preferiscono puntare su un “civico”. Bruciato il nome dello storico Enzo Ciconte (altro boomerang per il Pd), fatto circolare sui giornali nazionali da settori del Nazareno, i nomi in corsa sono diversi. Si va da Maurizio Talarico (il re delle cravatte), all’editore Florindo Rubbettino. Talarico (un passato da consigliere di centrodestra al Comune di Vibo Valentia, e tante foto con Salvini), già nel 2020 fu proposto dal Pd. «Mi candido alla presidenza della Calabria – annunciò lui stesso – con una lista civica sostenuta dal Pd e su cui può esserci la convergenza del M5s. La proposta arriva direttamente da Zingaretti». Le cose, come è noto, andarono diversamente. Anche Rubbettino fu per un attimo in corsa, sempre per il Pd. Ma da buon imprenditore fiutò la fregatura, ringraziò e tornò ai suoi libri. Resta un terzo nome, quello di Giuseppe Chiné, 53 anni, origini calabrese, Consigliere di Stato e capo gabinetto di vari ministeri, un “civil servant” di altissimo profilo. Difficile che lo convincano a tuffarsi in quella Cambogia piena di trappole mortali che è la Calabria politica.

Il sindaco di Napoli

Rimane Luigi de Magistris. Nei giorni scorsi il sindaco di Napoli ha perso un pezzo della sua coalizione con l’abbandono polemico di Carlo Tansi, profondo “teorico” del “Put, Partito unico della torta”. Ma Tansi, un passato da capo della Protezione civile nominato dal centrosinistra di Mario Oliverio, ha commesso un errore, attaccare Mimmo Lucano, che con la sua “Un’altra Calabria è possibile” corre con de Magistris. Errore sicuramente calcolato e che gli serve per strizzare l’occhio a destra. Lucano è infatti definito da Tansi “un comunista”, un personaggio «imbarazzante e incandidabile». De Magistris perde un pezzo ma ne conquista un altro ben più ricco, Anna Falcone. L’avvocata di origini cosentine, ma con studio a Roma, è stata il volto dei comitati per il no al referendum voluto da Renzi. Ora scende al fianco del sindaco di Napoli con la sua “Primavera della Calabria”.

Questo il “teatro” della politica, sullo sfondo i drammi della Calabria e i soldi che arriveranno da Recovery plan e Pnrr. Dei 15 miliardi previsti ne arriveranno dai 5 ai 7, tanti soldi che fanno gola a gruppi di potere affaristici (che se ne fottono delle bandiere politiche) e alla ‘ndrangheta. Negli anni Ottanta del secolo scorso i miliardi di lire del “pacchetto Colombo” (ultimo grande trasferimento di risorse nella regione) scatenarono la seconda guerra di ‘ndrangheta. Centinaia di morti.

   

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