Il Mes è stato il detonatore che ha fatto deflagrare le tensioni accumulate nella Lega, e più in generale nella maggioranza. Dando la stura al redde rationem per disegnare assetti futuri e leadership. Da una parte c’è l’ala pragmatica, capitanata dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, con il supporto del presidente del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga. Dall’altra la fazione identitaria, legata alle parole d’ordine delle origini, che si riconosce in Matteo Salvini, con i capigruppo di Camera e Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, che si fanno portavoce e interpreti del sovranismo d’antan. Visioni contrapposte, inconciliabili, che si affrontano. E che alimentano il nervosismo nel partito con ricadute a cascata sul governo.

L'estate si annuncia complicata, agitata dalla questione Mes, l’autunno si profila pure più caldo: toccherà prendere una decisione. E sullo sfondo ci sono le elezioni europee. Un risultato negativo della Lega non potrà essere perdonato a Salvini. Si è salvato dopo la débâcle alle politiche, oltre non si può andare. I consensi devono tornare in doppia cifra (attualmente la Lega è accredita dai sondaggi di una percentuale intorno all’8,6 per cento). Certo, manca ancora un anno al voto, ma il recente sorpasso di Forza Italia nelle rilevazioni non è un segnale incoraggiante. E iniziare a immaginare un “dopo-Salvini” potrebbe non essere più un tabù. 

Sovranismo e pragmatismo

Il Mes è un caposaldo della lotta politica leghista: consoliderà o modificherà l’identità del partito a seconda della scelta che verrà fatta. Salvini è intenzionato a tenere il punto, nessuna apertura di credito. «Non ritengo che ci sia bisogno di mettersi in mano a Fondi stranieri e a soggetti stranieri», ha detto, attingendo dall’armamentario propagandistico tipico del “no Mes”. «Gli italiani hanno scelto un governo politico, quello del Mef (il documento inviata al parlamento con cui il ministero ha caldeggiato la ratifica del trattato ndr) è un parere tecnico». Una linea fedele al sovranismo della prima ora. Che però non piace alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che avrebbe addirittura minacciato Salvini di tornare alle urne se non cambia posizione.

La sinfonia sovranista, contraria al fondo salva-Stati, suona però stonata anche alle orecchie del ministero di Giorgetti. «Il Mes può garantire i titoli acquistati dagli italiani. La ratifica sarebbe un segnale di solidità ai mercati», è la posizione filtrata dagli uffici di via XX Settembre, sempre all’insegna “non siamo favorevoli, ma”. Una questione di pragmatismo.

E lo ha capito anche Fedriga che, in maniera un po’ inattesa, si è infilato nella polemica, invitando a non avere «opposizioni ideologiche» e a «entrare nel merito». Anche perché «ratificare la riforma del Mes non significa utilizzare il Mes. Non sono la stessa cosa», ha detto intervistato dalla Stampa.

Un endorsement, nemmeno tanto velato, alla posizione del Mef e un avviso a Salvini: nella Lega c’è qualcuno che la pensa in maniera diversa dal leader. E fino a quando si tratta di Giorgetti, poco male. Il ministro dell’Economia è uomo da dietro le quinte, poco avvezzo alle luci della ribalta della leadership. Ma Fedriga è l’eterno “possibile erede di Salvini”, e nel frattempo ha fatto la sua gavetta a base di consenso popolare, avviando anche proficui rapporti con Fratelli d’Italia. Nella sua regione ha vinto a mani basse, convincendo gli elettori moderati per il suo pragmatismo. Guarda caso la dote che viene richiesta sul Mes.

La scelta di Meloni

Lo scossone in casa leghista sta creando più di qualche crepa nel governo Meloni. Ed è assai probabile che Salvini stia cercando di utilizzare la vicenda Mes per complicare la vita alla premier e provarle a rubare qualche consenso in vista delle sfida europea. L’Italia sta chiedendo tanto alla Ue: da una certa condiscendenza sul Pnrr a un occhio di riguardo sulla riforma del Patto di stabilità. Inevitabile che, prima o poi, debba dare qualcosa in cambio. Il sì al Mes sarebbe – seppure a malincuore – una buona merce di scambio. Il leader della Lega, però, non è disposto ad avallare i calcoli politici della sua alleata: tocca a Meloni prendersi la responsabilità di voler corteggiare il Ppe con posizioni più moderate e europeiste.

Il messaggio, in questo senso, è stato lanciato dal capogruppo leghista a Palazzo Madama, Romeo: «Sarà Meloni a dirci cosa vorrà fare», aggiungendo che «siamo sempre stati contrari e arrivare in parlamento a dire sì al Mes diventa un elemento sicuramente complicato». La sfida è lanciata. Resta solo da capire se a pagarne le conseguenze sarà Meloni o Salvini.  

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