Mentre Matteo Salvini va ancora alla ricerca di «buoni rapporti con Vladimir Putin», Giorgia Meloni, sulla carta alleata per le elezioni del 25 settembre, non ha difeso il segretario della Lega che ha tentato, invano, di minimizzare l’ennesimo affare russo.

La Stampa ha riportato ieri che la rappresentanza diplomatica della Russia in Italia, a maggio, avrebbe chiesto a maggio al consulente di Salvini per gli affari esteri, Antonio Capuano, se i ministri della Lega fossero intenzionati a lasciare il governo guidato da Mario Draghi. In quei giorni il leader si stava muovendo per ottenere i biglietti che lo avrebbero portato a Mosca per la sua “missione di pace”. Due mesi dopo la Lega ha effettivamente aperto la crisi di governo.

E non è un caso che il primo a reagire alla notizia sia stato il segretario del Pd, Enrico Letta. «Vogliamo sapere se è stato Putin a far cadere il governo Draghi», ha twittato, annunciando che chiederà al Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, di interessarsi al tema e preparerà interrogazioni parlamentari su quanto emerso: «Se così fosse sarebbe una cosa di una gravità senza fine». Quindi ha aggiunto una domanda maliziosa: «A Giorgia Meloni va bene essere alleata con chi trama con la Russia contro l’occidente?» Un modo per provare a dividere la già sufficientemente divisa alleanza di centrodestra.

Nel pomeriggio è arrivata anche la reazione del presidente del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte. «Lega e Salvini devono chiarire nelle sedi istituzionali. Non dobbiamo offrire sponde alla propaganda russa», ha detto ospite di Ivan Grieco sulla piattaforma social Twitch. Anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha chiesto al leader leghista di fare chiarezza sulle sue relazioni con la Russia, così come Gennaro Migliore di Italia viva, un appello che arriva fino ai rappresentanti di Sinistra italiana ed Europa verde.

La trasparenza

La conversazione tra Capuano e il funzionario dell’ambasciata Oleg Kostyukov si sarebbe svolta tra il 27 e il 28 maggio 2022. Due settimane prima, alla convention della Lega, Salvini aveva detto di essere contrario a un ulteriore invio di armi all’Ucraina e all’adesione della Finlandia e della Svezia alla Nato. A giugno già La Verità aveva scritto che il rappresentante di Mosca si era informato sulle intenzioni della delegazione leghista di governo. L’ambasciata russa ieri non ha voluto commentare.

«Sono fake news», ha detto Salvini, e ha liquidato così la sua lunga storia di amicizia con Putin: «Noi siamo con l’occidente e con la democrazia, non significa non voler buoni rapporti con Putin». In mattinata è arrivata la smentita ufficiale del sottosegretario con delega ai servizi segreti, Franco Gabrielli. Le notizie apparse sul quotidiano la Stampa «sono prive di ogni fondamento».

Solo a quel punto Salvini ha mandato un messaggio nelle chat con i suoi parlamentari: «Una sinistra divisa e disperata, con qualche servo sciocco in qualche redazione, passa il tempo a cercare fascisti, russi e razzisti che non ci sono». Mentre in una nota i ministri leghisti Giancarlo Giorgetti, Erik Stefani e Massimo Garavaglia, hanno detto che le dimissioni chieste da Putin sono vere «su Marte».

Finora il leader della Lega, che ha incontrato quattro volte l’ambasciatore Sergey Razov tra marzo e maggio e non ha mai annullato l’accordo di «scambio di informazioni» con Russia Unita, il partito Putin, non ha mai rivelato di che cosa abbia parlato con Razov e nemmeno che cosa i rappresentanti russi abbiano discusso con Capuano.

La partita però non si conclude qui. Il presidente del Copasir, Adolfo Urso (FdI), ha commentato: «Il Copasir non sarà mai strumento di campagna elettorale», ma nel suo ruolo di garante non bloccherà alcuna domanda. Mercoledì prossimo il Comitato ascolterà la dirigente del Dipartimento per le informazioni di sicurezza, Elisabetta Belloni, per un’audizione programmata. Enrico Borghi, membro del Copasir e parlamentare Pd, ha detto che «la sede per affrontare queste tematiche è quella istituzionale, per cui è giusto che sia in quel contesto che si entri nel merito».

Anche Fratelli d’Italia però chiede di andare oltre le risposte di circostanza. «Con i se non si fanno cose serie. La richiesta di verificare è legittima» ha detto il capogruppo di FdI alla Camera Francesco Lollobrigida, vicinissimo (nonché cognato) di Giorgia Meloni. Meloni che mercoledì aveva ottenuto che, in caso di vittoria del centrodestra, spetti al partito che prenderà più voti indicare il prossimo presidente del Consiglio, ha avuto l’occasione di colpire l’avversario. E non si è tirata indietro: «Ribadiamo che saremo garanti, senza ambiguità, della collocazione italiana e dell’assoluto sostegno all’eroica battaglia del popolo ucraino. Posso dire che un’Italia guidata da Fratelli d’Italia e dal centrodestra sarà un’Italia affidabile sui tavoli internazionali».

Un modo chiaro per segnare una distanza tra sé e Salvini. Il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani ha provato come sempre a tenere tutto insieme attaccando la «campagna denigratoria» contro il centrodestra. Il problema è che, di questo passo, potrebbe presto non esserci più un centrodestra.

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