La semplice verità è che Matteo Salvini è impresentabile per qualunque ruolo di governo: il caso dei rapporti con i russi e del possibile interesse di Mosca alla caduta dell’esecutivo di Mario Draghi è solo l’ennesima conferma. Che va interpretata così: anche in un futuro, molto probabile, governo di centrodestra a trazione Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, Salvini deve essere tenuto ai margini. Perché nessuno può fidarsi di lui. La sua credibilità politica, se non la sua carriera, è finita da tempo.

I fatti. Jacopo Iacoboni, su La Stampa, torna sui contatti tra il leader della Lega e l’ambasciata russa dopo l’inizio della crisi ucraina, rapporti rivelati da Domani a fine maggio. Iacoboni dice di aver “visionato” documenti di intelligence nei quali c’è traccia delle domande del funzionario Oleg Kostyukov a al consulente di Salvini, un certo Antonio Capuano, sull’intenzione o meno della Lega di far dimettere i propri ministri dal governo Draghi. Nel suo articolo Emiliano Fittipaldi ricostruisce tutti i dettagli di quello che sappiamo sui monitoraggi incrociati tra servizi di intelligence, verità accertate, fatti plausibili e millanterie.

A differenza di quello che dice Salvini, il sottosegretario ai servizi segreti, Franco Gabrielli, non ha smentito le interlocuzioni tra il leader leghista  e i russi – straconfermate anche dagli stessi russi – ma soltanto di essere la fonte di quelle notizie, visto che la nota ufficiale si limita a contestare «l’attribuzione all’intelligence nazionale di asserite interlocuzioni tra l’avvocato Capuano» e l’ambasciata russa.

Qui però è importante indicare il senso politico di quello che sta succedendo: l’uscita della notizia (sulla Stampa Iacoboni fa esplicito riferimento anche al monitoraggio americano delle mosse di Salvini, che certo non passava inosservato) e le reazioni indicano una interpretazione univoca.

Inadatto al governo

All’inizio della campagna elettorale tutti – in Italia e non solo – stanno cogliendo l’occasione per ribadire un messaggio che doveva essere ovvio da tempo: Salvini non è spendibile al governo di una democrazia occidentale, specie nel contesto di una guerra in Europa mossa dal principale riferimento diplomatico della Lega salviniana, cioè Vladimir Putin.

Oltre alle scontate polemiche dell’opposizione, è interessante notare che anche dentro il centrodestra si levino subito richieste di chiarimento e prese di distanza. A cominciare da Francesco Lollobrigida, capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia (e marito di Arianna Meloni, sorella di Giorgia). Ma perfino nella Lega ci sono tutti i distinguo.

L’europarlamentare leghista Marco Dreosto sottolinea addirittura di essere stato a Washington a incontrare persone alla Casa Bianca e all’Atlantic Council, un think tank tra quelli più radicali nell’atlantismo antirusso senza compromessi.

Non si registrano difese di Giorgia Meloni, in altre occasioni schierata a proteggere il resto della coalizione: Salvini non è mai stato così solo e così impresentabile. Meloni lo chiarisce in un intervento davanti alla direzione del suo partito: «Saremo garanti, senza ambiguità, della collocazione italiana e dell'assoluto sostegno all'eroica battaglia del popolo ucraino. Posso dire che un'Italia guidata da Fratelli d'Italia e dal centrodestra sarà una Italia affidabile sui tavoli internazionali».

Mentre il leader leghista si spendeva per cercare di trasformare i suoi antichi legami putiniani in un’occasione di visibilità durante la guerra ucraina, Giorgia Meloni continuava il suo apprendistato da leader della prossima maggioranza.

Il problema Meloni

A differenza di Salvini, Meloni parla inglese bene, si è mossa con discrezione, ha costruito una cortina di solido atlantismo filoamericano intorno alle proprie ambizioni politiche: ha rafforzato il profilo di Adolfo Urso, nome istituzionale di Fratelli d’Italia e presidente del comitato parlamentare che vigila sull’intelligence, le sue sponde internazionali sono in Polonia, che con Jarosław Kaczyński è la base dell’antiputinismo più intransigente.

Per quanto sembri paradossale per la leader dell’unico partito di opposizione, Meloni ha sempre coltivato un rapporto di rispetto e cortesia istituzionale con Mario Draghi, che non ha trasmesso dubbi sulla collazione geopolitica di Fratelli d’Italia mentre ha sempre evocato diffidenza per le manovre della parte di Lega ancora putiniana.

Meloni cerca quindi di trarre profitto dalla caduta dell’alleato Salvini, un emarginato nella sua stessa coalizione come nel mondo.

Ma soltanto la fragilità dell’opposizione le permette di reggere quello che è soltanto un bluff: Meloni stessa non può essere garante di alcuna affidabilità dell’Italia in politica estera finché i suoi partner di coalizione sono il putiniano Salvini e il declinante Silvio Berlusconi, che per tutta la prima fase della guerra in Ucraina è rimasto muto pur di non criticare l’amico Vladimir Putin con il quale aveva consolidato la dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia a inizio anni Duemila.  

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