Non tutti i mali vengono per nuocere. Così deve aver pensato Gennaro Sangiuliano quando in settimana si è trovato di fronte alla soluzione perfetta per il pasticcio Fuortes, la proposta del sindaco fiorentino Dario Nardella per l’incarico a sovrintendente del Maggio fiorentino, e soprattutto la disponibilità dell’ex amministratore delegato Rai a ricoprirlo.  

Si preannuncia molto diversa la partita milanese della Scala. Il tempo stringe, per l’indicazione del sovrintendente subentrante si prevedono in genere da tre a un anno di anticipo sulla scadenza dell’uscente, così da favorire il passaggio di consegne. Non è questo il caso: il mandato di Dominique Meyer termina a marzo 2025 e la soluzione per la successione è lontana. La prossima riunione del cda è in programma oggi, ma che la questione possa essere sciolta sembra difficile a chi conosce il dossier.

Lo schema è lo stesso del Maggio: il sindaco propone una terna di nomi e il ministero dà il via libera a quello già informalmente indicato dal Comune. Con la grande differenza che la Scala – pur avendo nel ministero il suo principale finanziatore – è una realtà più autonoma economicamente.

Una circostanza che diluisce il potere di Sangiuliano, che pure una decina di giorni fa si è visto a cena col sindaco per chiudere la questione, apparentemente senza riuscirci. La verità è che una decisione c’è stata, ed è quella che a Milano si era cercato di evitare: anche stavolta il ministro dovrebbe veder soddisfatta la sua volontà, dopo che Sala – inizialmente d’accordo con Sangiuliano solo sull’opportunità di riportare a Milano un italiano, alla fine di vent’anni di direzioni straniere – avrebbe accettato la proposta del nome di Fortunato Ortombina.

La pedina dell’Anci

Era la soluzione che meno piaceva al mondo scaligero e ai suoi oltre novecento dipendenti: il direttore è già stato alla Scala, anche se da allora molto è cambiato. Ma Ortombina – considerato un pragmatico capace – si è guadagnato il sostegno di Maria Elisabetta Alberti Casellati e Antonio Tajani accogliendo a Venezia Alvise Casellati, e qualificandosi agli occhi del mondo culturale di sinistra come uomo di destra. Sembra che sul suo destino però abbia influito la moral suasion del suocero del sindaco, Giovanni Bazoli, a sua volta nel cda scaligero: alla fine ha preferito scendere a patti col ministro e confermare il suo ruolo di kingmaker.

E così Sala avrebbe deciso di dare il via libera al candidato di Sangiuliano, complici anche una serie di scadenze culturali milanesi su cui non vuole andare al braccio di ferro permanente negli ultimi due anni del suo mandato. Soprattutto pesa l’ambizione che coverebbe il sindaco di succedere ad Antonio Decaro come presidente dell’Anci. Per scalare l’associazione dei sindaci, utile piattaforma di respiro nazionale per costruire l’identità da federatore che fa gola a Sala, serve il consenso dei primi cittadini di destra. Quale migliore sponsor del governo Meloni? 

L’incarico che attende Ortombina non sarà semplice. La dilatazione dei tempi non ha fatto bene né al teatro né agli aspiranti sovrintendenti. Oltre a trovarsi di fronte un’eredità complessa da gestire («Meyer si lascerà alle spalle parecchie incompiute» dice chi conosce l’azienda operistica) hanno dovuto subire anche in questa partita la gestione «modesta» di cui si è avuto prova a Firenze.

Cadono gli altri nomi circolati nelle ultime settimane: Claudio Orazi, sovrintendente a Genova, piaceva al ministro, ma non ci sarebbe stato troppo feeling con il sindaco. Improbabile anche la soluzione ponte di un rinnovo di Meyer per uno o due anni anziché cinque. Non è mai decollato il rapporto con il primo cittadino di Michele Dall’Ongaro, candidato di Gianni Letta e Giovanni Bazoli: inoltre, all’ombra del Duomo non vorrebbero un candidato troppo “romano” – Dell’Ongaro è presidente di Santa Cecilia – e in tanti sottolineano che l’opera è cosa del tutto diversa dai concerti sinfonici. Anche lui peraltro scavalcherebbe i settant’anni durante il mandato, come Meyer. E tutti sanno che Sangiuliano non può fare passi indietro sulla norma creata da lui stesso per offrire il San Carlo a Fuortes, accettando di rinunciare a direttori esperti e competenti per limiti d’età. Resterebbe, almeno sulla carta, Salvo Nastasi: ex direttore generale del ministero della Cultura.

Ha lavorato con governi di diverso colore ma da destra lo considerano ancora vicinissimo a Dario Franceschini. È già stato sovrintendente e molti gli riconoscono competenza, ma per ora non ci sono indizi concreti su un suo coinvolgimento nella trattativa. Sono stati citati poi Anna Maria Meo e Umberto Fanni: la prima a Parma è stata rinviata a giudizio, l’altro è direttore artistico a Mascate e sembra difficile che possa lasciare.

Il caso fiorentino

Anche a Firenze alla fine il ministro ha ottenuto quel che voleva, finanche in barba a Fratelli d’Italia. Fuortes aveva lasciato viale Mazzini a maggio dell’anno scorso, spianando la strada all’avvento del tandem Roberto Sergio-Giampaolo Rossi. Come exit strategy era stato steso in fretta e furia un decreto per permettergli di insediarsi come sovrintendente al San Carlo di Napoli. Peccato che Stéphane Lissner, il sovrintendente uscente eliminato con un limite anagrafico ad hoc, sia stato reintegrato dal tribunale. Fuortes, che non ha mai nascosto l’ambizione di prendere il posto di Dominique Meyer, era rimasto perplesso rispetto all’alternativa proposta dal ministro: aveva già rifiutato il Maggio fiorentino in passato. Dopo un lungo tergiversare, la settimana scorsa ha deciso di accettare la proposta di Nardella, con cui ha un solido rapporto personale: tutti contenti, sembrerebbe.

A parte uno, Giovanni Donzelli: il responsabile territori di Fratelli d’Italia, storico braccio destro di Giorgia Meloni, non ha infatti gradito l’autonomia di Sangiuliano nella decisione, presa senza consultarlo. Di qui, l’indicazione al rappresentante del ministero nel consiglio direttivo Gennaro Galdo (a lui vicinissimo) di esprimersi in favore di Ninni Cutaia. Il ministero ha dovuto abbozzare con una nota in cui prometteva di riesaminare i curriculum dei candidati: resta il fatto che nominare Fuortes risolverebbe un grosso problema sia a Nardella sia a Sangiuliano.

L’aspettativa è che l’operazione vada in porto, Donzelli se ne faccia una ragione e il manager possa prendere in mano la complicata situazione dell’ente, reduce da un commissariamento e bisognoso di un dirigente stimato (più per il suo operato nella cultura che per la sua gestione del servizio pubblico, osserva qualcuno). Se tutto dovesse andare secondo programma, il Pd – già in campagna elettorale – porterebbe a casa un successo piazzando sulla casella un nome d’area che può anche contare su solidi contatti in Rai. 

Ma Sangiuliano, che a dicembre ha proceduto a una grossa infornata di nomi, ha un sacco di tavoli aperti da gestire. Il suo metodo non è passato inosservato: tra fedeltà e competenza finora ha spesso preferito la prima, come nel caso di Marino Sinibaldi. Il Centro per il libro e la lettura che dirigeva è stato affidato a inizio anno ad Adriano Monti Buzzetti Colella.

Stesso discorso per Mauro Mazza, diventato in corsa commissario straordinario per la partecipazione alla Buchmesse di Francoforte al posto di Riccardo Franco Levi: Nicola Lagioia – ex direttore del Salone del libro di Torino – si è limitato a commentare che «ciò che si stava facendo male ora rischia di essere fatto peggio». Di Mazza a via del Collegio romano segnalano l’autonomia rispetto alle gerarchie ministeriali: «Ascolta solo palazzo Chigi» dicono. E c’è chi fra le ambizioni dell’ex direttore di Raiuno cita il consiglio d’amministrazione Rai in quota FdI. 

Le altre nomine

Anche nel settore culturale la destra sconta la storica carenza di classe dirigente: se Sangiuliano dovesse decidere di accelerare sulla riforma ministeriale si ritroverebbe di fronte – grazie a diverse moltiplicazioni dei direttori negli anni – un numero altissimo di posti da “super direttore” da assegnare (sono passati dai venti del 2016 ai 60 di oggi), con pochissimi tecnici a cui rivolgersi per presidiarli.

In queste settimane l’attenzione del ministro è rivolta anche al destino del teatro La Fenice di Venezia, dove Ortombina si è guadagnato la simpatia della destra aprendo a Casellati jr. Il suo nome parrebbe sulla buona strada della conferma, magari con una direzione artistica o una consulenza a Beatrice Venezi.

“Il direttore” bandiera del sovranismo culturale, già consigliera di Sangiuliano, in Laguna può contare sull’amicizia di Pietrangelo Buttafuoco, appena nominato direttore della Biennale. Sempre a Venezia sembrerebbe scontato il rinnovo di Alberto Barbera alla direzione della Mostra del cinema. Per le settimane a venire è anche in programma l’annuncio della prossima capitale della cultura: il titolo dovrebbe andare a L’Aquila, un’ottima carta che la destra si è già spesa in campagna elettorale.

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