Il grande circo della Rai – ben rodato da decenni – è pronto a ripartire, è la settimana del Natale laico della televisione, Sanremo. E alla Vigilia, l’azionista principale è pronto a godere della luce neanche tanto riflessa dei riflettori del palco dell’Ariston. Roberto Sergio parla con tutti del suo Sanremo, di come ha governato viale Mazzini in questo primo anno, al termine del quale dovrebbe consegnare il bastone del comando a Giampaolo Rossi.

Nella sua ultima intervista, però, secondo i suoi detrattori avrebbe fatto il passo più lungo della gamba. Annunciare infatti di essere a disposizione del governo è apparsa dalle parti di via della Scrofa come la volontà di mettere un’ipoteca su quella che doveva essere la prossima poltrona di Rossi, la coronazione di una vita di sacrifici per il partito, dalla mancata nomina di consigliere d’amministrazione Rai nel 2021 in poi. I dirigenti che rispondono a Giorgia Meloni sono inquieti, ma confidano che la premier non voglia farsi scappare l’occasione di mettere un uomo di fiducia al vertice di viale Mazzini. Ma i conti non sono così semplici: oltre al sostegno della Lega, Sergio ha dalla sua la tolleranza degli altri partiti, meglio disposti nei suoi confronti che verso Rossi. In un anno complicato per la Rai ha accumulato parecchi crediti con il governo, accettando di mettere la faccia su numerosi flop, spendendosi anche per figure imposte dall’alto come Pino Insegno di fronte agli ascolti impietosi. E poi, c’è Sanremo. 

Il palco simbolo

Il festival è stato un punto di svolta fondamentale anche per il predecessore di Sergio, Carlo Fuortes. Forse il punto di non ritorno, nel caso specifico: erano state le performance di Rosa Chemical e Fedez, il bacio e la foto di Galeazzo Bignami strappata in diretta che hanno compromesso in maniera irreversibile il rapporto con palazzo Chigi, dove si era insediata da pochi mesi Meloni. Le dichiarazioni di parlamentari meloniani indignati fioccarono, anche se certo, le pressioni per introdurre finalmente Rossi al settimo piano non hanno aiutato. 

Per fare in modo che il suo Sanremo gli garantisca un futuro diverso da quello che ha poi vissuto Fuortes, l’ex manager di Lottomatica ha lavorato praticamente da quando si è insediato a viale Mazzini. Lungi dal limitarsi a tener calda la poltrona a Rossi come avrebbero voluto a via della Scrofa, il suo attivismo politico e intra-aziendale ha fatto alzare più di qualche sopracciglio. A livello tecnico, la passione di Sergio è l’usato sicuro, Sanremo ne è l’ennesima prova: la conduzione di Amadeus è soltanto un tassello di un quadro di certezze. La rassicurazione del conduttore sul fatto che «la politica resterà fuori dal festival» è un segnale chiaro nella direzione di palazzo Chigi. Ad oggi, viale Mazzini ha tutte le carte in regola per vedere continuare il momento fortunato che per il festival dura ormai da cinque anni. 

Anche tutto l’impianto organizzativo è rimasto infatti quello della “vecchia” Rai, quella che doveva essere riformata nel profondo. Il carrozzone del festival è ancora in mano a Federica Lentini, già vicedirettrice di Stefano Coletta quando guidava il prime time e confermata in quella posizione da Marcello Ciannamea. «Non hanno gente di fiducia sufficientemente capace per mettere in piedi Sanremo», malignano dall’opposizione.

Per dare un segnale di rottura, però, Sergio ha scelto di affidare a Roberta Lucca, neodirettrice del marketing, il compito di snocciolare giorno per giorno i dati di ascolti, compito a cui una volta assolveva il direttore del prime time. A lei viene attribuito anche il merito per la raccolta pubblicitaria delle serate di Sanremo che tiene in piedi le casse della Rai, che si portano appresso un debito pesante, anche se in diminuzione: le stime che circolano promettono buoni risultati anche quest’anno. E così c’è già chi lancia il nome di Lucca come figura di compromesso, perfetta per la presidenza dell’azienda su cui si dovrà decidere a giugno. Da altre parti giurano che la manager che Sergio conosce da tempo nasce come tecnica e non ha campi di riferimento in politica.

Ama&Fiore superstar

Ma la passione di Sergio per i gioielli di famiglia ha la sua espressione più pura nel rapporto con Fiorello: al di là dell’amicizia personale che li lega e porta l’ad a prestarsi spesso come spalla, il manager non perde occasione per sperticarsi in lodi del conduttore siciliano. Pazienza se lui e Amadeus si fanno invitare dalla concorrenza, anzi peggio, da Fabio Fazio, a cui Sergio aveva giurato di non mandare mai più ospite il vincitore di Sanremo a causa del suo addio al servizio pubblico. Stasera andranno in onda su Nove: la motivazione ufficiale è che il lancio di Sanremo, anche su un altro canale, genera comunque ritorni positivi per la Rai, ma negli uffici che circondano quello di Sergio (lavorerà per tutta la settimana dalla Liguria) non avrebbero gradito. Ma Fiorello – sempre lanciatissimo – è un asso centrale per l’ad a Sanremo.

Quindi, tout est pardonné. D’altronde, «per lo star system non servono aiuti. Sono amministratore delegato di un’azienda che non ha bisogno di scorciatoie. Ho un rapporto diretto con tutti i principali protagonisti del mondo dello showbiz» ha detto a Italia oggi. Guai a mettersi di traverso tra lui e i suoi prediletti. Ne sa qualcosa il direttore del day time Angelo Mellone, che in un’intervista ha incautamente lanciato la successione di Massimo Giletti al timone dello storico impero di Mara Venier alla domenica pomeriggio, e messo in discussione la collocazione di Fiorello la mattina su Raidue. Apriti cielo. Lo slancio di autonomia di Mellone, il suo attacco a due big di quel calibro gli ha provocato una reprimenda pubblica da parte dell’ad, molto più defilato nel caso del direttore degli approfondimenti Paolo Corsini, che ad Atreju aveva pronunciato un discorso da vero militante di FdI. Per lui poco più di un buffetto, un altro credito da riscuotere a palazzo Chigi. 

E allora Sanremo è il biglietto da visita per il futuro, qualunque esso sia. Nonostante in zona via della Scrofa sottolineino come Meloni non si faccia influenzare dalla performance del festival e ricordano con malizia che «non si può mai avere il controllo totale del festival». Intanto, l’evento è sopravvissuto al divorzio tra Amadeus e il suo agente Lucio Presta, e comunque l’ad è riuscita a portarla a casa. C’è chi ha notato però il vaste programme proposto dall’ad nell’intervista a Italia oggi. Sergio dice la sua sulla Rai del futuro, proponendo di tornare alle direzioni di rete per recuperare l’identità perduta di Raidue e Raitre: per l’ex Telekabul, nel frattempo, il palliativo è Piero Chiambretti. La direzione per generi, introdotta da Fabrizio Salini e messa a terra da Fuortes, è già stata contestata da molti addetti ai lavori. Qualche maligno non esita però a vedere nella presa di posizione di Sergio anche un ottimo alibi per alcuni flop degli ultimi mesi. 

In un clima di riforma della governance che dovrebbe entrare nel vivo dopo le europee, Sergio è il primo a proporre una propria visione per il futuro. Lo stesso dicasi per il telemercato che l’ad ha già negli occhi: dopo Chiambretti, il rinnovo di Amadeus, la trattativa ancora aperta con Giletti e poi il sogno proibito Paolo Bonolis, a cui nell’intervista ha proposto la ghiotta occasione di riprendere in Rai il suo programma del cuore, Il senso della vita, chiuso in anticipo da Mediaset anni fa.

Nessuna replica alle punzecchiature di Pier Silvio Berlusconi, che a più riprese ha segnalato – l’ultima volta quando si è detto stupito che il Tg1 sia incastrato tra due giochi televisivi – come il servizio pubblico non svolga più il suo ruolo, provando sempre più spesso a competere con le tv private. Ma si proietta negli anni a venire anche la risposta al Sole di qualche giorno fa, in cui Sergio ricorda che, dopo che quest’anno il canone sarà ridotto grazie all’intervento della Lega, «non è stata abrogata la norma che prevede il canone a 90 euro», che assicurerebbe la certezza dei fondi a disposizione a cui in Rai tengono assai. Insomma, si tratta un gioco delle tre carte di Salvini che riporterà la tassa alla cifra originale già l’anno prossimo, a meno di nuovi interventi. 

Nonostante gli ultimi sviluppi, nessuno dei due vertici vuole prendersi l’onere di una candidatura ufficiale. Certo è che il nervosismo pervade gli staff di entrambi. E dopo l’ultima intervista di Sergio tra i dirigenti di area meloniana gira voce su una collocazione alternativa per l’ad uscente fuori dall’azienda che Rossi vorrebbe finire per governare. La lista di nomine da fare in primavera è lunga: ma a maggio, prima data utile per il rinnovo del consiglio d’amministrazione di viale Mazzini, mancano ancora diverse settimane. E, forse, un successo da mettere in bacheca per Sergio: conviene mandare via chi riesce a organizzare un buon festival?

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